7. Intervista con la “Marchesa”
- Autore: Tristano Redeghieri (a cura di)
- Anno e numero: 2016/7 (monografia sui 30 anni del progetto Calamaio)
a cura di Tristano Redeghieri, educatore Progetto Calamaio
Intervista a Stefania Baiesi, storica animatrice con disabilità del Progetto Calamaio.
Entro al CDH nella stanza del Calamaio e oggi ho il compito di intervistare Stefania Baiesi detta la Marchesa. La Marchesa è la più vecchia, non di età, ma di operato al CDH e sono molto contento ed emozionato di poterla ascoltare perché mi permetterà di conoscerla meglio e poi è bello stare accanto a lei.
Ciao Stefania come stai stamattina?
Ero un po’ preoccupata perché devo finire lavori iniziati ma sono felice perché mi stai intervistando.
Come mai ti chiamano la Marchesa?
È un soprannome che mi ha dato Mario, perché fa rima con Baiesa. È un soprannome carino di Mario per dire che sono la più anziana e gli sono sempre stata simpatica… Sarà innamorato di me [grosso sorriso e risate!]
Come sei arrivata al Centro Documentazione Handicap?
Arrivo trent’anni fa al CDH attraverso l’insegnante dei corsi professionali che mi disse che nessuna azienda mi avrebbe assunto. Quindi lei mi propose uno stage in questo centro che non conoscevo. Mi hanno accolto subito e questo mi ha tranquillizzata. Ha permesso che questa esperienza fosse positiva per me ed è per questo che dopo, finito lo stage, mi chiesero se potevo rimanere. Rimasi.
Cosa facevi?
All’inizio mi occupavo dell’inserimento dati. Poi, ascoltando quello che faceva Claudio Imprudente, chiesi di essere coinvolta in quello che stava progettando. Non mi bastava più stare al computer. Ho pensato “C’è qualcosa di più interessante da fare” ed ero molto curiosa di sapere bene ciò che Claudio faceva nel concreto.
Chi è stata la prima persona con disabilità che hai incontrato al CDH?
Il primo confronto con la disabilità al CDH l’ho avuto con Claudio. Mi sentivo a disagio perché era una persona nuova. Mi spaventava l’aspetto fisico più della sua incapacità di comunicare a voce.
Dopo avere ascoltato e capito quello che diceva Claudio Imprudente hai deciso di proporti per essere coinvolta nei suoi progetti. Ma ti ricordi che cosa ti aveva incuriosito? Perché hai deciso di proporti?
Il fatto che si parlasse di disabilità in un modo diverso, in modo propositivo e non in modo pietistico. E non dimentichiamoci che trent’anni fa l’atteggiamento comune verso la disabilità era ancora peggio di adesso. Ho deciso quindi di propormi per aiutarlo nella sua campagna di cambiamento della cultura perché partivamo da un terreno comune, mi sono rispecchiata in quello che diceva e ci credevo fortemente. Mi stuzzicava molto l’idea di provare a cambiare il ruolo alle persone disabili: non più persone bisognose di assistenza ma anche persone attive nella società.
Quindi hai iniziato a essere un’animatrice con disabilità nelle scuole. Ti ricordi la tua prima volta?
Certo! Il mio primo incontro nelle scuole è stato alle scuole medie di Casalecchio. Venivo da una formazione completamente diversa. Alle scuole superiori avevo frequentato un istituto tecnico commerciale. Che ne sapevo io di come ci si relazionava ai bambini con un ruolo educativo? Mi ponevo molte domande tipo “Cosa vado a dire? Cosa devo fare? Non ho la formazione, non sono adatta per andare nelle scuole. Oddio! Non me la sento di parlare in pubblico! Non mi stai chiedendo questo vero!? Dimmelo! Nel caso sarebbe la prima volta per me. Non sono abituata a lavorare in pubblico! A stare di fronte a un pubblico faccio molta fatica! Mi farebbe sentire male, a disagio!”. Ero molto in ansia, e Claudio mi ha rassicurato molto dicendomi “Non ti preoccupare. Se ho bisogno ti chiedo io; per il resto non devi dire nulla, vedrai che ti sarà molto utile. Osserva e impara”.
Poi, immagino, altre prime volte, in altre scuole di ogni ordine e grado.
Tante prime volte… Abbiamo cominciato a lavorare alle scuole elementari. Facevamo sempre giochi diversi in base all’età dei bambini.
Quale tipo di animazioni o tecniche usavate per coinvolgere i bambini e avvicinarli alla disabilità?
Ne usavamo varie, dalla drammatizzazione di fiabe a giochi più complessi come la scommessa Uguali e Diversi, la scommessa dell’Aiuto, il gioco di associazione di idee…
Marchesa tu sai che io sono diplomato Isef e lavoro specialmente con i bambini delle materne (3-5 anni). Hai mai lavorato con i bambini più piccoli e nell’ambito sportivo?
Certo! Dopo molti anni ad Alberto, un collega con disabilità, è venuta l’idea di cominciare a condurre degli incontri all’interno della scuola dell’infanzia. Lo proponemmo alle scuole materne di Borgo Panigale di fronte alla vecchia sede del CDH di via Legnano. Mi ricordo che per la prima volta abbiamo drammatizzato la fiaba dell’orso. Quell’incontro fu il mio debutto nella parte di un orsetto, mentre una bambina con sindrome di Down, che faceva fatica a parlare, faceva la parte del pesce. Successivamente mi sono trovata nella parte della tartaruga grazie al mio busto che faceva da casetta della tartaruga e i bambini mi montavano sopra. Più avanti proponemmo anche percorsi al nido.
E lo sport?
Il mio incontro con lo sport avvenne alle scuole superiori Rubbiani. Ricordo Roberto Ghezzo, educatore del Calamaio, che spiegava gli schemi e le regole del calcio in car- rozzina. Ricordo il clima che si era creato in palestra tra Alberto, il mio collega disabile, che faceva il portiere e i ragazzi. Si era creato un clima familiare, scherzoso e gioviale, ci siamo divertiti molto tutti. Le insegnanti hanno partecipato al gioco, erano coinvolte molto attivamente. In particolare ricordo le reazioni degli insegnanti di educazione fisica; erano molto entusiasti ed euforici.
Ma le animazioni le facevate solo con i bambini?
No. Insieme a Sandra ho condotto degli incontri di feste finali dove facevamo il percorso Calamaio. Questi incontri erano con bambini, genitori e famigliari. Servivano a fare comprendere a genitori e famigliari le attività svolte dai bambini durante gli incontri in classe. Inoltre facevamo incontri aperti alla cittadinanza che servivano a invogliare e coinvolgere la società, con l’intento di stimolare un dialogo. Fare comprendere alla cittadinanza e trasmettere i contenuti e la filosofia del Progetto Calamaio.
Qual è la tua più grossa soddisfazione e la più grossa difficoltà incontrata nel tuo percorso al Calamaio?
La difficoltà più grossa che ho dovuto superare è stata imparare a lavorare in gruppo. Invece la soddisfazione più grossa… mmm… ci devo pensare perché ne ho avute tante e non è facile sceglierne una.
Marchesa, fai ancora animazioni?
No perché sono un po’ invecchiata e il mio fisico fa fatica a reggere certi ritmi.
Quindi di cosa ti occupi ora al Calamaio per portare avanti la cultura positiva della disabilità?
Scrivo articoli che vengono pubblicati sui nostri mezzi di informazione. Collaboro nel progetto del libro modificato. Il libro modificato non è altro che la sostituzione delle parole con simboli che fanno riferimento alla CAA, la Comunicazione Aumentativa Alternativa. Questo permette che un libro diventi accessibile a tutti.
In questi trent’anni il Calamaio ha contribuito a cambiare qualcosa nella società?
È difficile dirlo, ma sicuramente abbiamo macchiato molte persone facendo vedere che la persona con disabilità può fare tutto quello che fa una persona normodotata, basta avere un po’ di fantasia e creatività che permetta di superare l’handicap ed essere protagonisti della propria esistenza.
Grazie Stefi della bella chiacchierata.
Prego non c’è di che. Anzi è stato un onore per me poter collaborare con te in questo revival.
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