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14. Un’esperienza di tirocinio

di Giulio Sanna, studente in tirocinio universitario al Progetto Calamaio nel 2010

Il Progetto Calamaio è un’esperienza formativa unica. L’aggettivo formativa nel mio caso si discosta dal suo semplice significato tecnico e professionale. Quando si fa un tirocinio e si parla di formazione solitamente si intende un percorso che aiuta a sviluppare un metodo di lavoro in un determinato ambito. Questo concetto, applicato al Calamaio, mi appare estremamente riduttivo in quanto la formazione qui abbraccia molti ambiti della vita e va molto al di là del suo significato teorico. Il percorso che si fa qua dentro è un’avventura che inizia a prendere forma già nel colloquio conoscitivo. Devo essere sincero: sono venuto a fare il colloquio per curiosità ma non mi aspettavo che un lavoro con le persone diversamente abili potesse interessarmi. Mi spiego meglio: sono arrivato con la paura che si trattasse di un progetto che lavorasse con loro in maniera meramente assistenzialista (nonostante le rassicurazioni del sito internet in questo senso), senza coinvolgerli nelle attività e con una logica verticale per cui gli educatori sono gli educatori e i disabili devono ascoltare quello che gli viene detto senza avere voce in capitolo. Avevo questa paura perché con le persone disabili, per la poca esperienza di cui ero a conoscenza, spesso si lavora in questo modo. Un modo che non mi piace. Nel colloquio sono subito stato smentito e questo mi ha fornito una carica positiva che mi ha fatto iniziare questo percorso con grande entusiasmo e disponibilità. Fare un colloquio con una équipe formata da educatori normodotati e animatori disabili non ha prezzo. Essere coinvolto in un progetto dove le persone disabili contano, hanno idee e le possono esprimere e mettere in pratica era quello che cercavo e che ho trovato. Durante il colloquio le mie paure si sono dileguate lasciando spazio alla certezza di volermi mettere alla prova in questo campo. L’ottica orizzontale, aperta e partecipativa che ho percepito durante l’incontro conoscitivo l’ho vista messa in pratica durante tutto il tirocinio che ha pienamente risposto alle mie aspettative. Per questo motivo trovo il progetto Calamaio estremamente rivoluzionario. Non a caso voglio utilizzare questa parola così estrema, densa di significati e importante. Sono convinto di essermi trovato dentro un percorso rivoluzionario che sovverte l’ordine stereotipico della visione sociale della persona con disabilità. In cosa consiste e come si esprime questa rivoluzione culturale? Come gli animatori disabili si mettono in prima linea per dimostrare al mondo che li circonda che non sono degli sfigati ma che hanno capacità e potenzialità da mettere al servizio della società? Diciamo che con il lavoro loro esprimono in pratica dei concetti che magari si trovano scritti in tutte le carte dei diritti dei disabili ma che solitamente sono solo dichiarazioni di principio e ideali privi di alcuna applicazione. Le persone con disabilità che lavorano al Calamaio chiedono di essere messe nelle condizioni di esplicitarsi in modo da essere una risorsa e non un peso per il sistema, e mettono a disposizione per questo fine le loro capacità.
Il pilastro che sta alla base di questo progetto è in primo luogo il gruppo e in secondo luogo, ma strettamente relazionato ad esso, l’ambiente familiare, costruttivo, ironico e accogliente in cui si lavora. La serietà, la professionalità e gli stimoli a migliorarsi e a fare meglio sono una conseguenza logica di questo ambiente. Per quanto mi riguarda il fatto di essere stato subito coinvolto in tutte le attività del gruppo, come fossi un veterano, è stato fondamentale per calarmi in questa realtà con tutta la positività possibile. Inoltre l’appoggio dei ragazzi disabili nelle mie prime esperienze di assistenza (andare in bagno, dare l’acqua, dare da mangiare), che sono state molto approssimative, ha contribuito a farmi sentire parte integrante del progetto. La fiducia, nonostante gli impacci iniziali, non è mai mancata dandomi la possibilità di migliorare giorno per giorno. Il gruppo e l’ambiente che ho descritto in poche righe costituiscono l’estensione del concetto di formazione di cui ho parlato all’inizio. Accanto a quella professionale si aggiunge una componente di formazione umana che considero la vera conquista di questo tirocinio.
Per quanto riguarda il lavoro in senso stretto gli strumenti con cui si opera sono molteplici; io cercherò di fare una breve disamina di quelli con cui sono stato più a contatto. Il primo di cui parlo è elaborazione di documenti al computer che servono a sviluppare concetti importanti sulla disabilità e sul modo in cui questa viene vista e affrontata all’interno del gruppo e su come il gruppo la affronta nei confronti dello spazio esterno. Questi documenti offrono spunti per discussioni che portano idee, stimoli, punti di vista differenti e che sono secondo me una sorta di statuto, sempre in divenire, che sviluppa, amplia e modella il modus operandi del Calamaio.
Un altro strumento di lavoro fondamentale sono i percorsi che si effettuano nelle scuole, dalle elementari alle superiori, e che costituiscono il cuore del progetto. Non bisogna dimenticare che chi lavora qua dentro è un professionista. I disabili sono educatori e animatori a tutti gli effetti e nelle scuole hanno il ruolo principale nella gestione dell’incontro. Nei percorsi, un’équipe composta da educatori normodotati ed educatori disabili si rivolge ai bambini e ai ragazzi attraverso una serie di attività (che cambiano a seconda dell’età dei soggetti destinatari) che servono a smontare pezzo per pezzo la macchina degli stereotipi che ruotano attorno a un disabile e alla sua vita. L’obiettivo però non si limita a questo: non si può smontare qualcosa che è radicato nella società e finire là. Bisogna andare oltre e rimontare la macchina in un modo diverso, migliore. Alla fine del percorso si trasmette una visione differente della disabilità e ci si focalizza sul ruolo che una persona disabile può avere, sulla sua felicità e sulle sue capacità e possibilità, sulla sua vita quotidiana e il suo lavoro, sulle sue esperienze passate e presenti e sulle sue aspettative e i suoi desideri per il futuro.
Il Calamaio è un oggetto che macchia, lascia un alone di inchiostro indelebile quando viene utilizzato. Quello che a me lascia, oltre a una componente umana e morale estremamente elevata, è una sensazione chiara: mi sento un veicolo ovvero il mio ruolo di educatore normodotato (perché anche se sono un tirocinante non mi considero tale) è finalizzato a un ausilio per mettere in essere le idee che gli educatori disabili hanno. Mi sento un veicolo per le idee e con molta felicità metto a disposizione le mie capacità fisiche, intellettuali ed emozionali per rendere migliori le idee e gli spunti che vengono dagli animatori disabili, i principali protagonisti dell’avventura Calamaio.



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