a cura di Lucia Cominoli, educatrice Progetto Calamaio
Botta e risposta con Massimo Marino, critico teatrale, sul laboratorio di educa- zione alla visione “La Quinta Parete. Lo spettatore è uno sguardo che racconta”.
“La Quinta Parete. Lo spettatore è uno sguardo che racconta” è un laboratorio di educazione alla visione, nato per accompagnare gli spettatori con disabilità e chi più in generale fatica ad avere accesso ai luoghi della cultura nei territori del teatro e dello spettacolo dal vivo. Il progetto è attivo a Bologna grazie agli educatori e agli animatori con disabilità del Progetto Calamaio della Cooperativa Accaparlante, in sinergia con Teatro ITC di San Lazzaro di Savena e, in precedenza, con Teatro Laura Betti. Il Teatro di Casalecchio di Reno e Teatro Arena del Sole di Bologna. Giochi, attività di scrittura creativa, incontri con critici e artisti accompagnano la visione degli spettacoli, in un percorso documentato e depositato in un blog, http://laquintaparete.accaparlante.it, che desidera partire dalla scrittura per spingere gli spettatori disabili e non a farsi cittadini consapevoli del proprio tempo e a stimolare nel pubblico la riflessione sull’accessibilità culturale.
Abbiamo chiesto a Massimo Marino, critico teatrale de “Il Corriere della Sera” di Bologna, di raccontarci la sua esperienza seguita all’incontro con il gruppo.
Ti era mai capitato prima d’ora di parlare di teatro con persone con disabilità?
Ho seguito e intervistato, in anni passati, gli attori dell’Oiseau-mouche. Ho intervistato, alcune volte, gli attori di Arte e Salute. Non mi era mai capitato però di dialogare con spettatori con disabilità.
Cosa ti ha lasciato l’incontro con gli animatori e gli educatori del Progetto Calamaio? Hai riconosciuto in loro un modo diverso di guardare la scena?
Mi è piaciuto il progetto, la costanza nel guardare, nel cercare e approfondire quello che c’è prima dello spettacolo, la ricerca di espressione nonostante quelli che possono essere i limiti fisici delle persone. Ho sentito una grande intelligenza che bisognava ascoltare, con pazienza, perché spesso celata sotto parole articolate con fatica, in certi casi difficili da capire per chi le ascolta senza una consuetudine con le persone con disabilità fisica.
C’è uno scritto, un dialogo o un intervento che ti ha colpito particolarmente?
Mi ha colpito il tono generale degli interventi, leggero ma profondo, capace di porsi domande essenziali senza soggezioni, desideroso di capire.
Di certo gli spettatori con difficoltà sensoriali, motorie e/o cognitive ci portano a confrontarci con modalità di restituzione dell’opera che devono necessariamente superare le forme della scrittura giornalistica, della recensione e della presentazione…Certo. Ma questa è una strada che in generale chi vuole lavorare a restituire/approfondire le culture dello spettacolo oggi deve seguire: testimonianze audio, fotografiche, video, grafiche… È una bella sfida. E con il vostro lavoro potete aprire strade.
A quanto stimeresti in percentuale la presenza di spettatori con disabilità nei teatri italiani?
Bassa, bassissima. Vedo, nelle mie costanti frequentazioni delle sale teatrali, 2-3-4 massimo 5 persone con disabilità a sera.
Pensi che i nostri teatri siano pronti ad accogliere tutti?
No. Sono luoghi ancora dalla pianta antica, nella maggior parte dei casi.
Cosa consiglieresti ai teatranti, siano essi artisti, organizzatori o direttori artistici per rendere i propri teatri accessibili in senso lato?
Coltivare il pubblico, ogni tipo di pubblico. Incontrarlo, fornire approfondimenti sul proprio lavoro, dal vivo o con materiali vari, scritti, fotografici, video, audio, ecc.
Coinvolgere in percorsi, anche sensoriali, di avvicinamento al teatro e allo spettacolo. Intervenire sulle architetture, quando possibile (ed è quasi sempre possibile).
Sperimentare altri formati e dispositivi di visione. Lavorare sull’approfondimento e sul coinvolgimento, come voi state già facendo.