6. E’ ancora azzurro l’inchiostro sul Calamaio
- Autore: Mario Fulgaro
- Anno e numero: 2016/7 (monografia sui 30 anni del progetto Calamaio)
di Mario Fulgaro, animatore con disabilità del Progetto Calamaio
Ogni apparente insuccesso nasconde in sé la spinta per ricominciare con nuovo e imperioso slancio, in vista di successi ambiti. La nostra storia parte 30 anni fa, come la Nazionale di calcio di Enzo Bearzot che, dopo la deludente débâcle nel corso dei mondiali in Messico del 1986, lasciava il timone di guida alla rinascente Nazionale di Vicini. Così in quello stesso anno nasceva uno sparuto gruppo di audaci che, partendo dall’esperienza all’interno del Centro Documentazione Handicap di Bologna, nato quattro anni prima, aveva il compito di traghettare il tema della Diversità nel grande mondiale dell’Inclusione. Come Vicini, anche gli audaci partivano da una base precedente di talenti da sfruttare al meglio. L’Altobelli della situazione era rappresentato da Claudio Imprudente, bomber di classe e di esperienza. Non era richie- sto alcun successo nell’immediato, ma la semifinale agli Europei, come i primi scritti di Claudio, era un ottimo sprone a proseguire il cammino, affinando sempre più le proprie potenzialità. Così facendo, era inevitabile attirare su di sé le attenzioni di chi fino ad allora era stato distratto da altre innumerevoli vicissitudini. Nasceva il Calamaio, un gruppo lavorativo di quattro persone disabili, che avrebbe aumentato di numero e specificità propria, assumendo nel corso degli anni un ruolo educativo in grado di partire dalle scuole per raggiungere, con i suoi solleticanti e allegri tentacoli, diversi ambiti della società.
Si sapeva di dover giocare in casa nei prossimi mondiali e questo caricava di ulteriore responsabilità ogni scelta che si compiva. I nostri audaci protagonisti di questa fantastica storia non si intimorivano affatto, tanto da rigonfiare il petto in avanti e alzare la testa e lo sguardo verso vette sempre più ambite: “Tutto è raggiungibile se gli sforzi di ognuno sono impiegati per un unico obiettivo, cioè la vittoria!”. Agli assist dei vari Donadoni e Vialli, nelle vesti di Michele Morritti e Alberto Fazzioli, Claudio assumeva sempre più le sembianze del nuovo bomber italiano Totò Schillaci. Le notti magiche venivano così illuminate da idee sempre più fervide e accese dei nostri piccoli e grandi eroi, che ormai da quattro anni avevano gettato le basi per nuovi e ristrutturati stadi da Canicattì a Caorle, aggiungendo nella propria rosa di fuoriclasse talenti quali Andrea Pancaldi, già presente nella primissima formazione, Mauro Sarti e Nicola Rabbi, nelle vesti anche loro di azzurri vincenti, quali Giannini, Baggio e Baresi. Dall’86 il telefono ha cominciato a squillare, chiedendo incontri amichevoli e ufficiali ai nostri campioni superdotati di idee geniali e originali, oltre che a tocchi di rimbalzo dialettico da vere e proprie stelle del firmamento. Il destino in forma di assist da parte di Maradona per Caniggia spezzava solo per un istante l’incanto di una sicura finalissima e audace vittoria da sottoscrivere agli annali della storia sportiva e umana.
Il bronzo a quei mondiali segnava comunque una rivoluzione copernicana, destinata a non interrompersi e a continuare la sua escalation intrepida e ricca di nuovi e rinnovati entusiasmi. Il telefono, infatti, da quel momento ha continuato a raddoppiare, se non triplicare o quadruplicare, i suoi squilli. Le richieste di nuovi incontri non hanno smesso, visto che la nuova équipe trovava una nuova guida in un rinnovato e messo a lucido Claudio, tanto da avere un look molto simile a quello di Arrigo Sacchi. “Ma noo, il gioco del Calamaio adesso si fa sempre più Imprudente! Non resisterà tutto il Mondiale!”. A Nashville, il fuso orario si congiungeva a quello del 2008, dove la nazionale del Calamaio avrebbe disputato, nella nostra storia, un Mundialito di successo; ma ci trovavamo ancora nel 1994, quindi procediamo con ordine: “Grande Giove!” direbbe lo scienziato pazzo “Doc” del film “Ritorno al futuro”. Molti nel ’94 avrebbero giudicato, e forse lo hanno fatto, come un’autentica pazzia quella di catapultare delle persone disabili nelle scuole italiane, a interloquire con inse- gnanti e studenti, ignavi ancora di esperienze alternative e diverse da quelle a cui abitualmente erano sottoposti. Questa volta era super finale con il favoloso Brasile, la cui storia affondava le sue radici nella Trimurti calcistica di Didì, Vavà e Pelè, che altro non erano che la cultura ancora imperante nel ’94 su temi scottanti come l’integrazione, la disabilità e la diversità. Era un rimbalzo dialettico e in itinere quello che vedrà, solo ai calci di rigore, trionfare un vincitore a metà, visto che lo scambio di informazioni e ammiccamenti era ancora in atto e solo all’inizio di nuove tappe da percorrere tutti insieme: Calamaio, scuole e istituzioni. Il compito dei nostri impavidi eroi non ha trovato un suo sereno e appagato epilogo, perché il tema della diversità, ci auguriamo, troverà sempre nicchie da colmare e arricchire di contenuti, sorprendenti e contraddittori nella loro ricchezza. Il superamento dell’imbarazzo, nella forma del vecchio modulo di gioco catenacciaro, o lo scavalcamento del timore, come di antiche logiche di marcamento a uomo, devono e dovranno sempre più trovare il coraggio di sposare forme più audaci e spumeggianti di gioco a zona con pressing. L’Inclusione deve e dovrà macchiare tutti gli spazi del rettangolo di gioco, dipingendo con ironia e autoironia, dapprima i propri animi di vivaci colori e, poi, investire di felice colorazione le tattiche altrui, ancora frenate da logiche obsolete di strategie d’approccio.
Questo era il compito di un rinnovato Calamaio, guidato da una nuova dirigenza tecnica, che trovava il suo originale nome in “Claudio Maldini”. L’apparente regresso verso un gioco più difensivo e riflessivo della nostra nazionale, con capitano l’ormai collaudata ed esperta Stefania Baiesi, trovava il suo ostacolo maggiore nei padroni di casa francesi nel mondiale ’98. Il bagaglio culturale ed esperienziale si arricchiva di più, trovando altri uditori attenti e pronti a imparare dal vissuto altrui. Infatti, a Nashville la nazionale del Calamaio trovava un amichevole e utile torneo pre-mondiale, durante il quale si sarebbe appreso, più che mai, come l’ascolto attento fosse elemento essenziale per ogni insegnamento efficace. Ogni relatore diventava un uditore di nozioni importanti, come chi ascoltava poteva contribuire con osservazioni e pareri al pari indispensabili per un lavoro più compiuto e privo di sciocche lacune, da non perdere e custodire preziosamente, di modo da rielaborarli tutti insieme. La palla rimbalzava tra un rigore francese e un rigore italiano, tra un parere del pubblico e un parere del Calamaio. Tutto arricchiva, in mondovisione, l’intera platea di nozioni e idee, contribuendo ad alimentare una conoscenza enciclopedica che, oltre a nutrirsi di tanti testi in materia di Diversità, metteva in campo tutto il proprio sapere in modo pratico e di scambio. Alla teoria si affiancava la pratica, spalleggiandosi l’una all’altra, da Nashville a Parigi, come da Roma alla potenziale Buenos Aires. Il Calamaio si apriva così, a ogni richiesta, da qualsiasi parte del mondo. Il goal sfiorato da Roby Ghezzo-Baggio, prima della sequela di rigori, faceva comunque ben sperare nel prosieguo di una vincente storia delle nostre nazionali, infatti, da lì a poco c’era la grande possibilità di una rivincita con gli Europei del 2000, recuperando ciò che si pensava aver stupidamente perso. Il Calamaio, sotto la guida tecnica di uno pseudo Dino Zoff, era già pronto a partire, ricco delle esperienze del passato, con una strategia più attendista, in vista di una rinnovata ripartenza in contropiede. La nuova tattica alla Enzo Bearzot sembrava voler sposare il nuovo Calamaio alle sue radici e il tentativo trovava buon esito nella finalissima raggiunta, proprio con i famigerati cugini francesi, ora campioni del mondo. In uno scambio di conoscenze ed esperienze, già vissute e da regalare agli altri, gli interlocutori incantavano ogni platea e non bastava uno Zidane o un Totti (quale Fabio Garavini) per riassumere tutto lì un discorso avviato molti anni prima. Tutto era ancora da scrivere e vivere sulla propria pelle, per tramandare co- noscenze imperdibili alle generazioni future. Lo scambio, infatti, trovava i suoi interlocutori non solo in quello che si viveva nel presente, giorno dopo giorno, ma anche in quello che si era vissuto e in quello che si desiderava vivere in futuro: “Grande Giove!” passato, presente e futuro erano assemblati in un unico spazio temporale, sicché tutto era, è e sarà nella mente di ognuno come un unico indimenticabile ricordo, in grado di ridisegnare l’ottica di tutti da una prospettiva diversa e più arricchente.
Non c’era assolutamente motivo per demordere, anzi, i successi ottenuti spronavano la Nazionale del Calamaio a ricercare nuove energie per ripartire e incantare piacevolmente ogni possibile avversario nei Mondiali del 2002. Novità delle novità era quella di tingere di rosa la figura del nuovo commissario tecnico, nella veste di Sandra Negri-Trapattoni: “Ma sì! Ci sembra la figura più adatta per il nostro storico modulo di gioco!”, “Ma noo! Non ha mica tanta esperienza con la tavoletta di Claudio-Herrera!”. Tutto sembrava riportarci a una tipologia di polemica legata a un passato remoto che, volenti o nolenti, tendeva sempre a riaffacciarsi con prepotenza. Le polemiche pre- partita erano elemento essenziale per la presentazione vincente di qualunque CT della nostra intrepida “Nazionale calamarina”. Gli schemi tattici si confacevano alle caratteristiche dei suoi fuoriclasse, trovando in una sempre giovane e poliedrica formazione del Calamaio, gli assist man per le involate al limite del fuorigioco di Cinzia Pirazzini-Inzaghi. Solo la svista arbitrale di un certo Moreno, alias la scarsa attenzione verso le posizioni, regolari o no, dei giocatori e protagonisti della nostra storia nel rettangolo di gioco, che altro non è che la vita, frenavano il cammino spedito verso una vittoria certa. Nessuno si rendeva conto, in quel momento, che solide basi vincenti erano ormai collaudate e cementate, più degli spinaci di Braccio di ferro: “Per cento pipe!”, alla faccia di Bruto-Moreno! Era nata da poco la Cooperativa Accaparlante ed era più che naturale sentirsi scoperti da ogni protezione di qualsivoglia deus ex machina; ma la funzione educativa della nostra Nazionale era ormai avviata a correggere le altrui storture comportamentali. Con il solo esempio offerto dalle proprie azioni concrete, ci si sentiva di agire alla pari dei presunti superiori popoli nordici. Infatti, il 2 a 2, concordato prima a tavolino e poi in campo, tra le rispettive Nazionali di Danimarca e Svezia nel corso dell’Europeo 2004, sembravano stringere in un angolo di isolamento perdente gli orgogli, mai sopiti, dei vari Gattuso-Galavini, Cannavaro- Parmeggiani. Davanti al televisore, non bastava assistere alle dovute scuse danesi e svedesi per dissipare l’urgente necessità di rivalsa. Cresceva sempre più la consapevolezza nelle proprie potenzialità, da spendere al meglio per raggiungere vette ambite, di modo da goderne i frutti prelibati di ogni successo. Il Calamaio sentiva di poter assolvere in pieno a questo compito di rivincita nei confronti della malasorte, mettendo in campo il meglio di sé, in termini di conoscenza tattica e di esperti su temi a noi cari, come la diversità, la disabilità, l’inclusione, l’integrazione, l’accessibilità, l’autonomia, la consapevolezza di sé.
L’occasione di rivalsa era offerta, due anni dopo, nel corso dei mondiali di Germania 2006, prima dei quali molti davano per perdente la squadra italiana di calcio. Si capiva, più che mai, che occorreva procedere passo dopo passo, come spesso sembra che faccia il Calamaio, senza farsi illusioni di grandi vittorie ma con la convinzione di lasciare, sempre e comunque, una macchia felice e indelebile nelle coscienze.
All’affermazione ottimistica del CT Azzurro, circa lo spirito di gruppo e la coesione dei giocatori da impiegare nel corso del torneo, seguiva un ironico e autocritico mormorio di disappunto: “Ma figurati se abbiamo la possibilità di arrivare in alto!”. La consapevolezza delle proprie potenzialità non bastava, occorreva lavorare, adesso, anche su un percorso di autostima, così anche il Calamaio era pronto a elaborare e affrontare laboratori interni, finalizzati proprio ad accrescere l’autostima dei suoi partecipanti. Lo spirito di gruppo e la voglia di mettersi in gioco, giorno dopo giorno, erano i punti di partenza indispensabili per raggiungere risultati quanto più co- struttivi e vincenti. La prima gara vedeva fronteggiarsi Italia e Ghana e l’avventura mondiale poteva partire, come il Calamaio avviava un percorso più accurato sulla conoscenza di sé, attraverso un riconoscimento e un’analisi più approfonditi delle proprie qualità. Le vittorie per 2 a 0, rispettivamente sul Ghana e sulla Repubblica Ceca, rispecchiavano appieno la doppietta siglata dal Calamaio al suo interno, affrontando, con successo, temi sull’immagine che si ha del proprio corpo e la relazione che ne consegue con il mondo circostante. Per affrontare con successo un avversario, sulla carta superiore o inferiore, occorreva tenere alta la concentrazione, attraverso un riscaldamento che fungeva anche da preparazione psicofisica. Occorreva avere a mente, il più possibile, una conoscenza sensoriale e motoria di sé, partendo da una pausa di riflessione, che permettesse di conoscere innanzitutto l’avversario rappresentato dalle proprie paure. È un esercizio introspettivo che aiuta ad affrontare ogni situazione, comoda o disagevole che sia, per superare ogni ostacolo, dato spesso da quei blocchi mentali che, in modo del tutto naturale, vengono a crearsi. Il Calamaio lasciava il suo iniziale colore grigio per tingersi di curiosità e allegria, rispecchianti più a colorazioni vivaci quali il giallo e l’indaco. L’Australia era il prossimo avversario della Nazionale italiana, mentre il Calamaio, nei suoi partecipanti, doveva scontrarsi, per ognuno, con il proprio alter ego, rappresentato dall’immagine reale nello specchio. Ognuno doveva descriversi nelle sue caratteristiche fisiche, sia positive che in quelle più negative: “Non è affatto facile descrivere se stessi!” esclamavano in tanti. La partita si trascinava stancamente su uno squallido 0 a 0, quando una simulazione di fallo in area di rigore australiana, da parte di Grosso, alias Lorella Picconi, portava l’indice dell’attenzione sul dischetto: “Vorrei essere un alieno con il seno più prosperoso e lo stomaco più piccolo!” affermava Lorella, calciando il rigore della vittoria e aprendo le porte alla prosecuzione di un Mondiale che, solo adesso, attirava le attenzioni anche dei più scettici. Le famiglie, sempre più, venivano coinvolte dalle prodezze degli eroici protagonisti dei match fin qui svoltisi. Dunque tutti davanti ai teleschermi delle proprie coscienze a tifare per risultati da raggiungere e realizzare, inimmaginabili solo fino a quel momento. Tutto taceva di giudizi e critiche, in un ammiccante scambio di emozioni ed entusiasmi a tinte sempre più azzurre: il prossimo ostacolo è rappresentato dall’Ucraina e non bastava nominarla, occorreva anche conoscerla per comprenderne il reale rischio. I membri del Calamaio iniziavano a scambiarsi informazioni su se stessi, facendo conoscere agli altri ciò che di più intimo e più personale si svelava in modo sempre più avvolgente, anche e soprattutto nei momenti di condivisione e relazione diretta, quale ad esempio il momento del pranzo. Così facendo si rivelava a ognuno dei protagonisti qualcosa di proprio, fino ad allora taciuto e nascosto per imbarazzo o rifiuto inconsapevole della disabilità, scambiandolo a beneficio di tutti. Il 3 a 0 sull’Ucraina rappresentava al meglio i tre livelli di crescita e di consapevolezza pre- senti in ogni individuo: la fanciullezza (goal di Zambrotta), quando il bimbo scopre la funzione delle sue capacità motorie in relazione all’ambiente che lo ospita, l’adolescenza (goal di Toni), quando il ragazzo agisce attivamente, modificando e adattando sempre più le sue capacità rispetto all’ambiente e viceversa, l’età adulta (secondo goal di Toni), quando la consapevolezza di sé e del mondo circostante ha raggiunto quasi la sua pienezza. Questi modelli base di comportamento vengono turbati e stravolti dall’evento malattia, sia sul versante della persona disabile che sul versante genitoriale, così il primo goal del Calamaio era siglato da Diego Centinaro, quando affermava che i suoi genitori lo descrivevano come simpatico, bello, buono ma troppo ingenuo per uscire da solo. Quanti, nel Calamaio, hanno trovato punti di contatto comuni con tale descrizione, avviando in modo spontaneo uno scambio di opinioni e di esperienze vissute nel concreto, quotidianamente. Il secondo e terzo goal erano realizzati da Danae Morales, affermando che i suoi genitori la vedono in grado di correre, saltare e giocare a pallone, oltre ad essere in grado di usare il telecomando della tv, scrivere e leggere. Il Calamaio si stava sempre più colorando di un azzurro penetrante, in quel gruppo di sette animatori disabili, due educatori e due volontari, intento tutto a coinvolgere, in un secondo momento, immediatamente successivo, chiunque ne volesse sapere e conoscere. La Germania, padrona di casa, era già pronta ad attenderci nel turno successivo, si trattava della semifinale, e negli azzurri si palesava un certo timore reverenziale. Bisognava tenere a freno la noradrenalina e i corticosteroidi, responsabili di stress e sofferenza psicologica, e guardare negli occhi i nostri avversari e le nostre paure, alzando in su il viso in segno di fierezza e rigonfiando il petto per intimorire ciò che maggiormente spaventava. Si mettevano in campo tutte le proprie capacità, per tenere in equilibrio il sistema nervoso simpatico e parasimpatico, riuscendo, così, a tenere un controllo, quanto più alto possibile, della situazione da affrontare. Si alternavano, con piena lucidità e voglia di sfida, le diverse fasi di allarme e stress con quelle di maggiore calma e tranquillità. L’armonia magica, offerta da quell’alchimia di benessere più intimo e personale, i cui effetti prodigiosi andavano poi a confluire sui confini dell’ambiente esterno, rendevano gli ostacoli da superare meno invalicabili e, per certi versi, più attraenti. Le attenzioni delle nostre due nazionali, quella Azzurra e quella del Cala- maio, erano ormai incentrate verso i “Limoni aurei” dell’Olimpo, dove giganteggia da sempre l’unica “dea della vittoria”. Gli stati d’animo incominciavano a forgiare sempre più un carattere vincente, partendo da un’analisi reverenziale e rispettosa nei riguardi di chi e cosa si trovava di fronte, come avversario o difficoltà da superare. A questo punto, il Calamaio avvertiva l’urgenza di ridisegnare i propri confini esplorativi e di intervento, ampliandoli attraverso la collaborazione con altre realtà culturali, operanti anch’esse attorno al tema della Diversità, intesa come elemento essenziale per avviare un processo di Inclusione. “È stato facile raccontare come è fatto un limone, anche nelle sue ammaccature e imperfezioni!” affermava Francesca Aggio – Totti, iniziando, così, un processo conoscitivo fino ad allora imprevisto, perché forse dato per scontato, ma che finiva con l’interrogare tutti, sul livello di conoscenza e consapevolezza di ciò che si vive. Il pensiero rimbalzava tra una considerazione sull’altro e su di se stesso, in quanto tutti appartenenti a un noi “universale”. In questo scambio introspettivo di valutazioni reciproche, emergeva sempre più l’esigenza di una più profonda consapevolezza delle proprie qualità, da impiegare al meglio per fronteggiare ogni situazione di fuorigioco o di corner o, come per il Calamaio nello specifico, di rimessa con allungamento del proprio corpo per raggiungere un tasto lontano del PC. La frase di Diego Centinaro valeva come il primo gol di Grosso: “Mi sono sentito bene a descrivere il limone, molto meglio che a descrivere me stesso…”. Il secondo gol di Del Piero concludeva l’iperbole di tutto un laboratorio sulla cura di sé con l’affermazione di Stefania Baiesi: “Non sono abituata a delineare i miei parti- colari e una parte del corpo che non uso faccio fatica a raccontarla”. Il proprio corpo esprime sempre, volenti o nolenti, tutto di sé in chiave comunicativa e costruttiva. Le nostre nazionali, cariche del proprio bagaglio culturale ed esperienziale, si avviavano, speranzose, verso la finale di Berlino. Gli occhi luccicavano di speranza e fiducia: “Allora su col morale a suon di Musik, con Schuhplattler a seguito e impregnato di Azzurro vivo del Calamaio!”. Per la finale era già tutto pronto. A fronteggiarsi erano francesi e italiani da una parte e Calamaio e “specchi della coscienza” dall’altra; la tensione e la voglia di sfidare e sfidarsi erano palpabili anche lungo le corde invisibili dell’aria. “Ho sentito il calore nelle gambe, le mie gambe esistono e mi sento grande!”, l’affermazione di Giacomo Romagnoli apriva nel miglior modo possibile ogni scambio di opinioni e di idee, un po’ nello stile di capitan Fabio Cannavaro: “Nel corso di questo Mondiale tutta la squadra è cresciuta ed è diventata un grande gruppo!”. Le nostre nazionali, nelle loro storie, trovavano ancora tanti punti di contatto comuni. La carta stampata e gli esperti, in materia di tatticismi e conoscenza di sé, potevano affinare le proprie conoscenze, confrontandosi direttamente con gli stati d’animo, oltre che quelli fisici dunque, degli atleti in campo. Si sperimentava, così, il piacere come volano per ricaricarsi di energia, per riconnettersi al proprio essere nella sua totalità. Il benessere è una porta girevole, attraverso cui alternativamente scorrono, mutuandosi per mescolarsi, gli appagamenti dei desideri fisici e quelli spirituali. Tutti i laboratori svoltisi all’interno del Gruppo Calamaio rispecchiavano, con sistematicità e in modo del tutto naturale e spontaneo, le caratteristiche peculiari del metodo del suo operare. Si partiva sicuri di affrontare un’esperienza positiva e costruttiva, ogni volta per ogni laboratorio, partendo da un processo di Conoscenza su quello che c’era da affrontare, in relazione al proprio sentire da mettere in comunione, per crescere reciprocamente. L’imbarazzo, a tal proposito, manifestato da Francesca Aggio-Zambrotta nella affermazione “Non mi ero mai guardata allo specchio ed ero in difficoltà a parlarne”, offriva durante il laboratorio sul corpo, il pretesto per una simulazione di fallo in area propria da parte di un avversario da superare, il quale guadagnava un generoso penalty. Il calcio di rigore, calciato a parabola da cucchiaio, da parte di Zidane ai danni di Stefania Baiesi-Buffon, aggiungeva al danno anche la beffa, riassumibile tutta nella frase di Stefania: “Avevo paura di dire le cose di me che mi piacciono e che non mi piacciono, perché ho paura del giudizio!”. Dalla panchina, intanto, giungevano voci di restare calmi e non perdere la bussola, attraverso le parole di Giacomo Romagnoli-Gattuso: “Mi è piaciuto far vedere come sono!”. Allora palla al centrocampo e si ripartiva con spirito battagliero e di strategico tatticismo a zona con pressing, di modo da coprire ogni zolla dell’ambiente che ospitava ogni tipo di disputa, Stadio di Berlino o Sala da pranzo del Calamaio. Le energie, le emozioni e ogni sensazione, anche minima, venivano trasmesse e, costruttivamente, trasferite in uno scambio psicofisico e di approccio stile Tagger. Si combatteva tenacemente su ogni esercizio o palla di rimbalzo, non tralasciando nulla, di modo che nulla fosse dato al caso ma tutto giostrasse attorno. “Mi piacerebbe con tutte le mie forze imparare a cucinare la pasta, mettendola nell’acqua calda!” era la spinta di Danae Morales-Camonaresi per conquistare caparbiamente un corner, da condividere empaticamente e senza indugi con Stefania Mimmi-Materazzi, per il goal del pareggio. Si attraversava e si superava la seconda fase, quella dell’Incontro dell’Altro, dove ogni differenza era varcata, per essere condivisa da tutti, dapprima all’interno del Gruppo Calamaio e poi con chi si incontrava lungo il cammino lavorativo o quotidiano, scoprendo qualcosa più in profondità, come tassello nuovo e indispensabile nella costruzione di una nuova Cultura sull’Handicap e sulla Diversità. Si procedeva a tamburo battente tra un palo di Francesca Aggio-Gilardino: “Io non vorrei andare dentro me stessa, per- ché scoprirei cose che non vorrei” e una traversa di Danae Morales-Camoranesi, rafforzando la convinzione di potercela fare a conseguire ogni vittoria. In questa convinzione, il Calamaio poteva, a pieno titolo, assumere le forme più disparate di uno Scandalo, di fronte al quale chi ne veniva travolto non poteva che controbattere con testata giornalistica, per divulgare al mondo un falso e istintivo diniego. La vittima consapevole era Zidane, come opinione pubblica e sentire comune che si inter- rogavano nel silenzio meditabondo di un’espulsione, nel tentativo di una rivalutazione delle proprie certezze, viste ora da prospettive diverse e spiazzanti. La Grande Forza del Calamaio è quella di rimettere in discussione tutto ciò che è precariamente certo, per ridisegnarne i contenuti di un azzurro sempre più originale e imprevedibile. Ogni dibattito poteva, può e potrà avere inizio, trovando sempre la sua evoluzione cadenzata, naturale e proficua. Trasformare la sfiga in un’appassionante Sfida è il compito primo, come il primo rigore realizzato da Mario Fulgaro-Pirlo, mentre il secondo rigore è rappresentato dal desiderio di mettersi in gioco, assimila- bile a quello di Stefania Mimmi-Materazzi; il terzo di Tatiana Vitali-De Rossi associabile alle dinamiche del gioco di ruolo e dell’immedesimazione, quando l’adrenalina inizia a salire; il quarto di Andrea Mezzetti-Del Piero, sornione e austero al contempo nella sua franchezza disarmante; infine la concretezza di Vittoria del rigore professionale e allegro di tutto il Gruppo Calamaio, nelle vesti azzurre di Grosso: “È sempre azzurro l’inchiostro nel Calamaio!”… To be continued, parola del “Grande Giove”…
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