Come racconta Renato Kizito Sesana, in Occhi per l’Africa (Editrice Emi, 1999) c’è un guerriero masai nel pieno del suo vigore giovanile, armato di lancia e scudo e il corpo pitturato con una cera rossa: mentre passeggia vede per terra un passerotto con le zampe rivolte al cielo. Lo crede morto ma poi osservandolo s’accorge che non lo è. “Perché stai in quella posizione?” – gli domanda e il passerotto risponde – “Ho sentito dire che il cielo sta per cadere e io mi sto preparando per sostenerlo!”. Quando sente queste parole il guerriero masai si butta per terra a ridere, si rotola addirittura preso da un’ilarità incontenibile. “Come puoi sperare di sostenerlo tu con quelle zampette che sembrano degli stecchetti di paglia?… Sostenere il cielo!”. Il passerotto non cambia posizione ma risponde: “Io faccio del mio meglio, e tu cosa fai?”.
Questa storia africana descrive perfettamente il senso di un lavoro lungo trent’anni. Il Progetto Calamaio è come quel piccolo passerotto che, senza pensarci due volte, di fronte alla sfida dell’inclusione, della valorizzazione delle diversità, della partecipazione attiva delle persone con disabilità alla vita sociale e culturale, oggi come trent’anni fa, si mette in gioco facendo del suo meglio.
Non recriminando, non lamentandosi, non chiedendo a qualcuno di fare, bensì sporcandosi le mani e mostrando un cammino, una possibile direzione.
Per questo oggi festeggiamo, non solo per ricordare il tempo passato ma soprattutto per rinnovare la sfida, l’entusiasmo, il valore di un progetto che ha ancora il compito di affermare che la diversità è un valore se è messa al centro dell’organizzazione dei nostri contesti.