di Luca Baldassarre, ex animatore e formatore del Progetto Calamaio
Gli oltre vent’anni passati al CDH sono stati più di un’esperienza professionale, ma un vero percorso di vita che ha accompagnato e scompaginato la mia crescita umana e personale. È stata una fortuna poter condividere ideali forti e grande sintonia con un bel gruppo di lavoro che ha avuto voglia di stare assieme e migliorare. Non a caso siamo riusciti a focalizzare e concretizzare obiettivi importanti. Credo che parte del merito vada riconosciuto a un contesto territoriale favorevole, con una comunità attenta e una rete di servizi sociali davvero all’avanguardia e di prim’ordine, che per parecchi anni ha potuto contare su competenze, idee innovative e risorse economiche importanti.
Venendo a me, dell’esperienza nel Calamaio conservo tutto: le facce e le vite delle persone, la dimensione del gruppo, le soddisfazioni, la fatica e le pesantezze e le tante tantissime risate spensierate. Nel Calamaio sono stato bene. Negli anni in cui ne ho fatto parte ho sentito il fermento creativo e ho visto partorire tanti spunti interessanti che sono diventati anche progetti reali.
Se dovessi scegliere, penso che l’idea forte del Calamaio, la più innovativa e creativa, sia stata quella di proporre le persone con disabilità come educatori e formatori, quando la loro immagine sociale li relegava a un ruolo da utenti di servizi, definendoli “non collocabili al lavoro”. Per me, anche il passaggio da un’associazione di promozione sociale a una cooperativa sociale di produzione lavoro scommetteva su questo. Sul concetto che le persone con disabilità potessero essere parte attiva e partecipata della società, nei limiti e nel rispetto delle proprie difficoltà ma con un protagonismo competente e una funzione da educatori riconosciuta e apprezzata. Il passaggio successivo è stato quello di trovare una mediazione tra questa istanza, di proporsi in un mercato libero con prodotti culturali, e un quadro generale di sostenibilità dell’impresa cooperativa alla luce anche dei bisogni del territorio, dei servizi sociali e delle esigenze delle famiglie.
Pur dentro un mercato protetto, è stato chiaro da subito che la sostenibilità della cooperativa non poteva prescindere dall’affiancare a prodotti culturali a mercato, servizi di natura socio-assistenziale, pagati dalle aziende sanitarie locali o di servizi alla persona, che fornissero risposte alle famiglie. Di qui, la scelta logica di associarsi ad altri enti cooperativi proponendosi come soggetto gestore di servizi educativi, socio riabilitativi e di inserimento lavorativo, rivolti a persone con disabilità.
Non so se questa impostazione sia il giusto compimento alle grandi ispirazioni iniziali ma forse era e resta l’unica strada percorribile…