di Amelia Frascaroli, consigliera comunale
Uno sguardo al mondo della cooperazione sociale e a quanto si sta muovendo in questi ultimi anni mette in evidenza la necessità di rifondare la motivazione e il senso di appartenenza dei singoli soci, delle singole persone ma anche delle cooperative nel loro complesso. Va ritrovata una pratica di formazione e di ri-motivazione permanente e va fatto un grosso investimento sulle singole persone. Il rischio è quello di perdere nel tempo sia la storia che l’identità di appartenenza e ritrovarsi dentro contaminazioni, confusioni operative che non permettono più di essere quello che si era. Ritrovare questa forte motivazione, calarla nelle scelte, non dimenticarla, significa trovare una capacità di praticare dei condizionamenti rispetto alla domanda che l’Ente Pubblico pone. La cooperazione sociale può modificare la domanda e non subirla. La rappresentazione che spesso l’Ente Pubblico ha della cooperazione, e come questa rappresentazione si potrebbe modificare spostando anche la domanda, dipendono moltissimo da un’identità forte che si sappia spendere con proposte molto concrete. Il mio lavoro in Caritas e i cinque anni di lavoro in Comune come assessore mi hanno permesso di vedere da vicino alcune esperienze che sono riuscite a mantenere un’identità propria e che quindi si sono imposte dal punto di vista dell’innovazione e della capacità progettuale e hanno modificato la domanda dell’Ente Pubblico. Riflettere sulla storia della Legge 381 significa riflettere sulle modifiche avvenute rispetto alla configurazione iniziale della cooperazione, dalla caratterizzazione della mutualità interna di produzione lavoro e via via fino alla creazione di un modello solidaristico rivolto all’esterno, alle fragilità. È sempre più evidente che ci sono alcune fragilità socialmente accettate (disabilità, psichiatria, tossicodipendenze, disagio sociale ampiamente inteso) da parte della Pubblica Amministrazione; la cooperazione sociale che lavora su questo è vista come una risorsa, si occupa di fasce della popolazione che fino a qualche decina di anni fa non avevano attenzioni particolari. Per quanto riguarda invece l’immigrazione, la percezione collettiva è profondamente diversa. C’è una grande responsabilità culturale e pre-politica rispetto alle esperienze di accoglienza che si mettono in campo nei territori e alla qualità della loro gestione, una qualità che superi, produca oltre la domanda, non si appiattisca solo su quello che la Pubblica Amministrazione chiede. Il tema è quello della responsabilità, di una produzione e di una rappresentazione culturale diversa. Un altro tema su cui riflettere è quello dei consorzi che possono rappresentare una grossa risorsa e possibilità. In questi anni, spesso le cooperative sociali hanno scelto di unirsi in consorzio. Ma quanta “amicizia” c’è fra le cooperative e quanto invece emergono sospetti, antagonismo, bisogno di controllo reciproco? Quanto si condivide di identità, sintonia, idee di fondo, visione, metodo? Quanto il consorzio è un’identità viva fondata su amicizie intese come sintonie profonde e rinforzi reciproci e quanto invece rischia di perdere un po’ l’anima del consorzio stesso e delle singole realtà? È da qui che bisogna ricominciare, in caso contrario si rischia di fare operazioni strumentali, funzionali al momento, alla specifica gara che costringono a rispondere alla contingenza e questi sono meccanismi che possono travolgere.