di Giovanni e Roberta Vai, Pictor Coop. Sociale
Il crescente arrivo di migranti sulle coste italiane, le numerose morti in mare, vere e proprie tragedie del nostro tempo, hanno sollevato in noi e nella nostra famiglia numerosi interrogativi e riflessioni, che ci hanno portato ad aderire al progetto della Caritas Italiana “Protetto: un rifugiato a casa mia”.
Questa iniziativa, lanciata dopo l’appello di Papa Francesco del settembre 2015, ci ha permesso, a partire dal febbraio 2016, di entrare in una bellissima esperienza di accoglienza diffusa, esperienza che continua ancora oggi e che ha segnato questi 30 mesi della nostra vita di famiglia, che ci ha aiutato a riflettere su quanto ci circonda e a toccare con mano quanto è importante la conoscenza e la vicinanza per abbattere muri e diffidenze.
Nella nostra esperienza abbiamo incontrato giovani uomini, di età compresa tra i 21 e i 28 anni, usciti dal sistema di accoglienza nazionale, in quanto già in possesso di un permesso di soggiorno, che necessitavano di un periodo in cui poter ritrovare le forze e le motivazioni per andar avanti nel percorso di autonomia, nella ricerca di un lavoro e di un alloggio, per ritornare protagonisti della propria vita, decidendo quale direzione prendere e quali obiettivi raggiungere.
In questo periodo ci sembra che possiamo dire di aver accompagnato questi giovani per un pezzo della loro vita, consapevoli che non siamo esperti del settore né professionisti del sociale, ma semplici cittadini, semplici persone che si pongono al loro fianco, per fare insieme un pezzo di strada e per vivere insieme un pezzo di vita, senza avere la presunzione di risolvere tutti i loro problemi, ma cercando di sostenerli, stando loro vicino per non farli sentire soli.
Il centro di questa esperienza è la relazione, la possibilità di incontrare un volto, un nome, una storia, i sogni di un ragazzo ventenne che cerca un futuro migliore.
Per una persona che si trova a vivere una nuova realtà, distante dalla propria cultura e dai propri usi, il poter avere un luogo ricco di relazioni è importante per consentirgli di ripartire e riprogettare la propria vita, al di là di quello che si potrà realmente concretizzare realmente nel periodo dell’accoglienza, facendolo così sentire nuovamente soggetto attivo e protagonista della propria vita e questo pensiamo possa essere veramente davvero importante!
L’accoglienza diffusa permette a nostro avviso una vera integrazione che nasce dal quotidiano, dallo scambio di ricette, dal condividere abitudini e usi, dal parlare dei propri Paesi, delle famiglie di origine.
Nella nostra esperienza anche la diversa religione non ha rappresentato un ostacolo, in quanto abbiamo capito che si può convivere nel rispetto reciproco, sottolineando non le differenze, bensì i punti di contatto. Credevamo infatti che essere di religione musulmana fosse l’elemento più difficile da accettare ed invece abbiamo scoperto che l’essere di colore diverso, anche nel nostro territorio, è fonte di diffidenza e limita le possibilità di incontro, di trovare un lavoro e una casa, anche quando se ne hanno i requisiti. Il colore della pelle rappresenta ancora un ostacolo per un pieno inserimento sociale e lavorativo!
L’esperienza ci ha insegnato che quando le persone sono disponibili ad incontrarsi, abbandonandosi alla relazione, tutto risulta più semplice e i rapporti si fanno autentici e normali.
E in questa normalità di relazione che a volte bisogna anche accettare la scelta dell’altro, che ha priorità e uno stile di vita che non sempre riusciamo a capire fino in fondo, ma che dobbiamo imparare ad accettare. Significa allora accettare che non ci raccontino la loro storia, il loro viaggio, perché magari le ferite fanno ancora male e sono aperte e sanguinanti.
E’ anche questa la normalità di una relazione: conoscersi scoprendo pregi e difetti di ognuno, ma sempre avendo bene in mente il rispetto reciproco, senza avere atteggiamenti di superiorità, ma cercando di parlarsi e di ascoltarsi, per vivere pienamente il tempo e l’esperienza che si sta facendo.
Pensiamo che la bellezza e l’importanza di promuovere l’accoglienza diffusa non sia raggiungere grandi numeri, ma piuttosto diffondere una cultura dell’incontro, della relazione, della normalità di una integrazione fatta di volti, storie e sogni.