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2. Cooperazione sociale, accoglienza e inclusione degli ultimi: un percorso di riflessione

di Leonardo Callegari, presidente AILeS

La cornice del presente
Negli ultimi 10 anni la crisi economica e occupazionale, con la pesante contrazione di risorse destinate al nostro welfare, da un lato e il fenomeno migratorio, che ha registrato fino al 2017 un crescente afflusso di richiedenti asilo sulle nostre coste, dall’altro lato, hanno interpellato fortemente la cooperazione sociale assieme ad altre organizzazioni del terzo settore, non ultime le ONG operanti nel salvataggio in mare di migranti, sulle risposte da dare alla moltitudine di persone in condizioni di estremo bisogno, fragili, vulnerabili, a rischio di esclusione ed abbandono. Le difficoltà nell’affrontare adeguatamente tali movimenti da parte della politica e delle istituzioni preposte, sia a livello nazionale che locale, pur con le debite distinzioni di merito, sono risultate evidenti. Si è resa palese l’importanza della collaborazione tra gli attori del pubblico, del privato sociale e del profit più socialmente responsabile per confrontarsi con dinamiche estremamente complesse, non regolabili e men che meno risolvibili da singoli attori o incentivando la competizione tra gli stessi
Per uscire da logiche emergenziali, quando è stato possibile, ha pagato la cooperazione tra le parti, la programmazione e la progettazione condivisa delle azioni da porre in essere, con forte radicamento sui territori e nelle comunità locali, tramite il coinvolgimento e la partecipazione di tutti i soggetti, collettivi e singoli cittadini. Crediamo che la cooperazione in generale, e quella sociale in particolare, abbia fatto la propria parte, anche in controtendenza nell’erigere una barriera alla crisi economica e occupazionale che tuttora ci attraversa, conservando posti di lavoro, incrementandoli, quando molte imprese profit hanno chiuso e/o licenziato.
Certo, non sono mancati casi di distorsione delle finalità solidali proprie della cooperazione sociale, fino agli estremi illegali di Mafia Capitale nella gestione speculativa dei migranti, che hanno prodotto danni incalcolabili alla reputazione delle tantissime realtà imprenditoriali e associative di utilità sociale che hanno profuso e continuano a rendere il loro onesto impegno quotidiano, silenzioso, altruistico in aiuto di chi, nostro connazionale o straniero, ha più bisogno.
Purtroppo, nello strabismo di una certa politica securitaria, oggi imperante e nel crescente allarme creato in una opinione pubblica impaurita dallo spettro della disoccupazione, della povertà e da tutti i “pericolosi disperati che dall’Africa ci invadono”, hanno facile presa le soluzioni demiurgiche e la criminalizzazione non solo degli ultimi, vissuti come minaccia, ma anche di chi cerca di aiutare le stesse persone a rischio di esclusione.
In questo tempo ingrato di inversione dei valori, dove viene scambiata la soluzione con la causa del problema, non è più scontato che chi pratica la solidarietà sia giudicato positivamente. Anzi si deve difendere da giudizi ingenerosi, quando non apertamente da minacce e intimidazioni, che annunciano la messa al bando di intere organizzazioni, tagli di finanziamenti pubblici e la “fine della festa” per coloro che pubblicamente vengono accusati di avvantaggiarsi dei migranti.

Nodi su cui fermarsi
Come realtà del no profit, in particolare come cooperative sociali, ci siamo chiesti non tanto se le semplificazioni e banalità richiamate rispondessero a verità, bensì:

  • quanto le motivazioni originarie dei cooperatori sociali fossero ancora pregnanti nella vita delle rispettive imprese di lavoro associato (la cosiddetta dimensione comunitaria, relazionale, motivazionale interna, non riconducibile o riducibile alle sole, pure essenziali, dimensioni associativa e imprenditoriale);
  • quali finalità e funzioni caratterizzano le cooperative sociali nella nostra realtà metropolitana bolognese e come diversamente si vengono a connotare rispetto a storia costitutiva, sviluppo organizzativo, ambiti prevalenti di impegno;
  • che capacità innovativa è in grado di esprimere la cooperazione sociale. Se dagli anni 60/70 ad oggi, la capacità imprenditoriale è ampiamente dimostrata e difficilmente controvertibile sul piano organizzativo, gestionale, realizzativo di servizi di welfare e di politica attiva del lavoro, come la valutiamo sul piano promozionale, innovativo, progettuale, indispensabile per affrontare sfide inedite e situazioni come quelle richiamate di estrema complessità?

Sappiamo che la cooperazione sociale si è connotata fin dalle sue origini secondo una fondamentale ambivalenza costitutiva e duplicità strutturale che ha posto molte realtà di lavoro associato su una sottile linea di confine tra l’essere organizzazioni democratiche, fondate sulla partecipazione dei membri, dedite a finalità solidali e contemporaneamente la necessità di strutturarsi come imprese in grado di operare con efficienza, oltre che con efficacia, sui “quasi mercati” dei servizi pubblici e sul mercato tout court per la fornitura di beni o servizi volti all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate.
Tale duplicità e ambivalenza agisce anche tra la dimensione mutualistica interna, ristretta al patto associativo per le migliori condizioni di lavoro tra i soci, e la dimensione mutualistica allargata, esterna, che accoglie le istanze della comunità di appartenenza e i bisogni delle persone che esprimono la propria richiesta di buona vita. Nel bilanciamento tra le varie anime connotative e dimensionali, oltre che tra i vari piani di azione funzionali, crediamo che la dimensione comunitaria, valoriale, motivazionale, relazionale interna, profonda, se si vuole pre associativa e pre imprenditoriale, delle cooperative sociali mantenga la sua importanza e ove si attenui vada ripresa e ri-alimentata, per preservare le stesse realtà cooperative da sempre possibili rischi involutivi, quali la progressiva istituzionalizzazione sistemica propria di enti gestori e l’assimilazione organizzativa delle regole di mercato senza distinzioni con il profit.
Senza escludere il pericolo della dissolvenza, se vengono meno capacità imprenditoriali, struttura organizzativa e vision strategica, in favore solo di solidarietà troppo corte e ripiegate su se stesse.
Per tenere assieme efficienza imprenditoriale, partecipazione democratica ed efficacia nella risposta da dare ai bisogni, la bussola di una navigazione difficile, soprattutto quando esposta ai marosi delle critiche e accuse infondate, con risorse economiche calanti, deve rimanere tarata sulla qualità delle relazioni, sulla coerenza di comportamenti organizzativi, sulle più estese collaborazioni da tessere in ampie reti e partenariati locali. A partire dal mutuo appoggio tra i membri di ogni compagine cooperativa l’agire eticamente orientato può disporsi all’accoglienza professionale, organizzata e soprattutto empatica, delle persone fragili, vulnerabili ed estendersi alla collaborazione tra tutti gli attori rilevanti per l’inclusione e la coesione sociale nella comunità territoriale di appartenenza, moltiplicando per questa via la propria incisività operativa senza perdere in umanità.
Il legame con il territorio, la relazione tra le persone, co-operatori, cittadini, rappresentanti di altri enti partner, rimane a nostro avviso fondamentale e cartina di tornasole per le verifiche di efficacia e di aderenza dei comportamenti alla mission solidale, che attesa nella stragrande maggioranza delle cooperative sociali, va ovviamente sempre testimoniata e dimostrata, caso per caso, secondo responsabilità circostanziata, con l’onere della prova.

Per forme più avanzate di co-progettazione
Per affrontare le situazioni particolarmente complesse richiamate (povertà, disoccupazione, migrazioni, ecc.), vogliamo ancora insistere sull’importanza di approntare modalità più avanzate di governance e di collaborazione tra le parti, secondo una sistematica condivisione progettuale il più possibile di co-progettazione. Un versante, questo, dove si può esprimere la parte migliore della cooperazione sociale: quella promozionale, progettuale, innovativa, di condivisione piena della responsabilità su andamento ed esiti delle realizzazioni compiute, in un rapporto di partnership meno asimmetrico con il pubblico, non solo gestionale ed esecutivo e certo non meramente di fornitura esternalizzata, come ai tempi delle gare al massimo ribasso e degli affidamenti occasionali, da superare.
Soprattutto quando la politica è afona di proposte che elevano il livello di civiltà del nostro modello di convivenza e le istituzioni non riescono, da sole, a fronteggiare dinamiche societarie imponenti, strutturali, rubricandole a contingenze da scansare, tutt’al più da arginare o respingere, sarebbe anacronistico aspettarsi che la cooperazione svolga un ruolo di controllo di tali emergenze al disciplinato servizio di un contesto in pesante arretramento culturale e valoriale (disoccupati e poveri, infondo, si dice, qualche colpa della loro condizione ce l’hanno e tutti questi migranti che islamizzano la nostra società, ci tolgono lavoro, case e servizi di welfare dovrebbero stare o tornare da dove sono venuti).
E’ invece proprio al cospetto di sfide importanti, di sistema, partendo tuttavia dallo sguardo di ogni persona disperata, senza reddito, casa, lavoro che ciascun cooperatore sociale, con la sua impresa sociale, può capire il bisogno, valorizzare le potenzialità individuali e individuare il sentiero personalizzato per accompagnare il singolo soggetto a ritrovare fiducia in se stesso e cercare di risalire la propria china esistenziale.
E’ accogliendo un migrante capendone il dramma, la sofferenza, le ingiustizie subite e i pericoli ai quali sarebbe esposto in caso di respingimento, senza ridurlo a un numero statistico da contenere, che chi si impegna in una ONG o in una cooperativa sociale può offrire la mano tesa, un rifugio sicuro e congiuntamente provare a costruire “con” quella persona un futuro migliore, anche per la nostra società.
Accogliere una persona in difficoltà incrociandone lo sguardo e cercare di costruire con la stessa una relazione significativa, per includerla senza abbandonarla e isolarla nel contesto comunitario, è quanto di più lontano dal pensare, miseramente, al budget di ricavo economico che quella persona rappresenta, con buona pace della vulgata che denuncia gli eccessivi 35 euro a migrante in tasca agli affaristi della cooperazione o che vengono sperperati da chi senza lavorare vive alle spalle di cittadini operosi, che tengono famiglia e hanno altro a cui pensare.
Il confronto di riflessione e approfondimento, di seguito documentato, che si è avviato tra i cooperatori sociali dell’area metropolitana bolognese, ha voluto riprendere temi, istanze, finalità tra quelli fin qui delineati che a volte l’operatività non consente adeguatamente di mettere a fuoco per misurare quanto ancora certi ideali mantengano la loro forza propositiva e a che grado di maturità e di affidamento è giunta la cooperazione sociale.
Al termine di questo percorso siamo più consapevoli che la “spinta propulsiva” della cooperazione sociale non si è esaurita nella stagione pioneristica degli anni 60/70, ma può, proprio adesso, al cospetto di complessità inedite, riattualizzare ruolo e funzioni promozionali, progettuali, generative di nuovi rapporti e di nuove forme di welfare comunitario; assieme ad altri, certamente, “con” il pubblico, per quanto non solo e, in primis, “con” le stesse persone in condizioni di bisogno: che non sono un problema, ma una risorsa, per tutti, in una società meno diseguale e più giusta.



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