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6. La prospettiva dell’innovazione sociale partecipata. Il valore delle esperienze sostenute da AILeS

di Walther Orsi, comitato scientifico AILeS

Le ragioni che richiedono un cambiamento
La crisi del welfare, legata a motivazioni economiche, alle difficoltà di garantire equità, universalismo ed efficacia dei servizi, è ormai evidente ai cittadini. Le difficoltà della politica e delle istituzioni nel rispondere a questa crisi spesso sono state gestite attraverso processi di esternalizzazione dei servizi, da parte del pubblico verso il terzo settore. Questo processo ha contribuito a esportare, ma a volte a ‘mimetizzare’, molte contraddizioni e problemi legati a tale crisi. Nel contesto dell’Emilia Romagna, il terzo settore ed in particolare la cooperazione sociale, hanno fornito un contributo molto importante nell’ambito del sistema del welfare, attraverso la gestione di servizi particolarmente complessi e con utenti multiproblematici, in una situazione caratterizzata da risorse limitate e da bisogni sociali crescenti.
La crisi del sistema di welfare è stata gestita soprattutto grazie al prezioso contributo del terzo settore e degli operatori che spesso però ne hanno subito le conseguenze in termini di perdita di motivazione, passione e senso dell’attività professionale.
Nella situazione odierna, in cui alcune forze politiche non sembrano consapevoli del ruolo importante svolto in questi anni dal terzo settore, che anzi viene demonizzato (in particolare le onlus), è fondamentale reagire, riflettendo con la massima onestà e trasparenza sulle ragioni di tale crisi, innanzitutto per comprendere il disagio di chi opera nei servizi, ma anche per sviluppare, insieme agli operatori e ai cittadini, un percorso teso a salvare e a rinnovare il sistema di welfare.
E’ venuto il tempo della consapevolezza del rischio di un progressivo smantellamento del patto fra cittadini-welfare-istituzioni, ma anche del grande patrimonio di motivazioni, valori, risorse umane e sociali su cui si reggono i servizi, il terzo settore ed in particolare la cooperazione sociale.
Questa situazione di crisi può rappresentare però anche l’occasione per un profondo cambiamento dei paradigmi di riferimento. Infatti è entrato in crisi non solo il ruolo del welfare, ma soprattutto il sistema delle relazioni fra sviluppo e welfare, perché non è più credibile che quest’ultimo possa rispondere a tutti gli effetti perversi del sistema economico.
Si rende necessario un nuovo modello che faccia riferimento a: benessere, salute, inclusione sociale. Questi indicatori non possono essere di esclusiva competenza del sistema dei servizi, ma si determinano solo attraverso nuove sinergie e collaborazioni fra un “welfare di comunità” e un ”altro sviluppo”, inteso a livello economico, ma anche sociale, culturale ed etico. Inoltre la costruzione del bene comune e della qualità della vita in un territorio richiede una cittadinanza attiva e una responsabilizzazione dei cittadini nel loro ruolo di imprenditori di welfare.
Il motore del nuovo modello è rappresentato da un’innovazione sociale partecipata, in grado di valorizzare il capitale diffuso di creatività e di invenzione sociale dei cittadini e degli operatori, di promuovere nuove imprenditorialità, di generare lavoro a partire dai bisogni sociali delle persone e delle comunità. Tale modello è centrato sulla necessità di nuove collaborazioni fra istituzioni, imprese profit, terzo settore, per connettere e conciliare le rispettive logiche di riferimento (redistribuzione, scambio, reciprocità).
Questa prospettiva di cambiamento assegna un ruolo chiave al terzo settore perché è in quel contesto che, da sempre, si sperimentano azioni sinergiche fra attori sociali orientati da molteplici logiche di riferimento. In particolare la cooperazione sociale si propone di conciliare la logica dello scambio, propria di un’impresa, con quella redistributiva, propria di chi eroga servizi di welfare, ma anche con quella della reciprocità che si fonda sulla partecipazione, sulla mutualità, sulle relazioni.

Alcune prospettive di lavoro per l’innovazione sociale partecipata
Le criticità che si evidenziano in alcune esperienze sostenute da Ailes non possono nascondere la grande rilevanza di tali progetti che si fondano su un’ampia collaborazione fra gli attori del pubblico, del privato sociale e del profit. Rappresentano una vera e propria esperienza innovativa emblematica che non ha ancora esplicitato e rappresentato tutte le sue potenzialità. Può essere utile riprendere, sinteticamente e per parole chiave, i principali nodi che frenano il processo innovativo: la complessità del sistema delle relazioni fra gli attori coinvolti, la burocratizzazione eccessiva delle procedure che allungano i tempi delle varie fasi dei percorsi di inserimento sociale e lavorativo, l’autoreferenzialità di ciascun attore che lo imprigiona nella propria logica di riferimento, il sistema di valutazione dei risultati, centrato prevalentemente sull’indicatore dell’inserimento lavorativo, che non è in grado di misurare la ricchezza dell’impatto sociale di tutte le azioni sviluppate nell’ambito del progetto.
Per dare ulteriore valore al progetto e alle proposte del partenariato di Bologna, si individuano alcune prospettive di lavoro non solo tese ad affrontare i nodi problematici, ma anche a sviluppare tutte le potenzialità che possono emergere facendo riferimento al modello dell’innovazione sociale partecipata. In tale ottica diventa fondamentale: dare voce ed ascolto agli operatori e ai cittadini, cogliendo tutta la ricchezza del loro ruolo, per valorizzare il loro capitale di creatività, progettualità e invenzione sociale; valorizzare le buone pratiche sociali di cittadinanza attiva; migliorare la comunicazione fra i diversi attori sociali anche per ridurre i condizionamenti della burocratizzazione eccessiva; andare oltre le opportunità lavorative esistenti, per promuovere nuove imprenditorialità, per generare lavoro a partire dai bisogni sociali delle persone, e delle comunità; connettere e conciliare le diverse logiche di riferimento delle istituzioni, delle imprese profit e del terzo settore.
Si elencano, qui di seguito e in forma sintetica, alcune prospettive di lavoro esemplificative che vengono definite anche attraverso l’esplicitazione dei risultati attesi. E’ evidente che per dare maggiore concretezza ai percorsi operativi sarà necessario un ampio coinvolgimento degli attori sociali impegnati nel progetto, per cogliere le priorità, per scegliere quelli da sperimentare, per implementarli in relazione alle risorse disponibili e soprattutto per costruire una co-progettazione condivisa.

Verso una più efficace comunicazione, integrazione istituzionale e condivisione di senso
Principali risultati attesi:

  • condivisione del senso di alcune parole chiave, degli orientamenti per migliorare il lavoro di rete, degli indicatori di efficacia, efficienza e qualità;
  • semplificazione dei processi e riduzione degli adempimenti burocratici;
  • sviluppo di nuove strategie di comunicazione dei risultati ottenuti e del valore del lavoro sociale svolto dagli operatori

Costruzione di un sistema di valutazione dell’impatto sociale degli interventi
Principali risultati attesi:

  • poiché la mission del terzo settore, previsto dalla Riforma, non è solo di produzione di servizi, ma anche di promozione di cittadinanza attiva, inclusione e protezione sociale, partecipazione, è fondamentale dare evidenza ad una valutazione che vada oltre la misurazione dell’input, dell’output, dell’outcome, per misurare l’impatto sociale dell’attività svolta dalla cooperazione sociale;
  • superamento dei sistemi di valutazione derivati dalla cultura delle organizzazioni profit, per la costruzione di uno specifico sistema di valutazione multidimensionale che verifichi il valore aggiunto dell’intervento della cooperazione sociale a livello sociale, culturale, economico, istituzionale, etico;
  • elaborazione di un impianto, di metodologie, strumenti ed esperienze emblematiche di misurazione dell’impatto sociale dell’attività svolta nell’ambito dell’operazione Regione Emilia Romagna FSE Inclusione.

Sviluppo di un percorso condiviso di rilevazione della domanda e delle risorse per nuove attività imprenditoriali e di lavoro. Il ruolo strategico della cooperazione sociale
Principali risultati attesi:

  • valorizzazione e rappresentazione del patrimonio di informazioni, conoscenze, competenze degli operatori delle istituzioni, dei servizi di welfare, del terzo settore, in merito ai nuovi bisogni sociali dei cittadini, in termini di benessere e qualità della vita del territorio, ma anche delle idee, proposte, ipotesi di progetti per sviluppare nuove attività imprenditoriali e lavorative tese a rispondere a tali bisogni;
  • organizzazione di eventi ed occasioni di confronto, approfondimento, condivisione, che prevedano la partecipazione di rappresentanti del mondo produttivo profit, delle istituzioni, del terzo settore, in merito all’individuazione di nuove attività imprenditoriali e lavorative nel territorio. La cooperazione sociale e gli attori che fanno affidamento sul sostegno di AILeS hanno una preziosa esperienza al riguardo che va valorizzata ed implementata;
  • attivazione sperimentale di nuovi percorsi imprenditoriali e lavorativi che prevedano la collaborazione e l’integrazione di istituzioni, imprese profit e terzo settore.

Il lavoro di comunità orientato alla promozione di buone pratiche sociali di cittadinanza attiva
Principali risultati attesi:

  • organizzazione (in collaborazione con il Comune di Bologna, i Quartieri, l’associazionismo e il volontariato), in alcuni contesti territoriali, di incontri aperti alla popolazione sui problemi di maggiore rilevanza sociale. Individuazione dei cittadini che si rendono disponibili per qualche forma di impegno per la cura del bene comune e il miglioramento della qualità della vita;
  • organizzazione di incontri di approfondimento, per area problematica, aperti alla partecipazione dei cittadini che si sono resi disponibili per l’elaborazione di proposte di intervento, idee progettuali e attività tese a fornire risposte concrete e partecipate ai nodi emergenti in ciascuna area, ma anche all’inclusione sociale di persone fragili;
  • coinvolgimento dell’associazionismo e del volontariato per promuovere insieme incontri e seminari di informazione e formazione dei cittadini disponibili in merito a come si sviluppa una buona pratica sociale, come si elabora, gestisce e valuta un progetto di cittadinanza attiva, un patto di collaborazione con il Comune di Bologna ed i Quartieri, come si può prevedere la partecipazione di persone vulnerabili e a rischio di esclusione sociale.

Il valore delle esperienze sostenute da AILeS
Le esperienze sostenute da AILeS, nel territorio bolognese, hanno dimostrato come sia possibile sviluppare sinergie positive fra il contesto delle istituzioni e dei servizi di welfare, le imprese profit e il terzo settore, anche se in presenza di alcuni nodi problematici, da non sottovalutare.
Una breve descrizione di tali più recenti esperienze può consentire di comprendere il valore delle stesse, ma anche le proposte di miglioramento su cui puntare per l’attivazione di un processo di innovazione sociale partecipata.
Dal 2015 sul territorio della Città Metropolitana di Bologna (ex provincia) le azioni inclusive in favore delle persone svantaggiate, finanziate dalla Regione Emilia Romagna con il Fondo Sociale Europeo, nell’ambito della Programmazione 2014- 20, sono state gestite tramite ampi partenariati con la supervisione del Comitato Scientifico di AILeS. Nel biennio 2015-16 si è formato un partenariato con titolarità CSAPSA ricomprendente, oltre alle Associate di AILeS, CEIS Formazione, Demetra, Fondazione Aldini Valeriani, Irecoop, Lavoropiu, Oficina, Rupe Formazione, Consorzio SIC, Consorzio Winner, per la gestione di una Operazione rivolta a 390 persone di nazionalità italiana, o immigrati a rischio di esclusione, tramite attività di accoglienza, orientamento, formazione professionale e inserimento lavorativo con tirocini.
La logica della rete collaborante, estesa anche a organizzazioni di supporto del non profit (ad es.: Caritas, Padre Marella) e l’ottima collaborazione con il Comune di Bologna, lo Sportello Lavoro allo scopo attivato, i Servizi pubblici di welfare e di Politica Attiva del Lavoro dei 7 Distretti Socio Sanitari metropolitani, hanno consentito il raggiungimento di buoni risultati per il miglioramento dell’occupabilità delle persone svantaggiate coinvolte, con il 23% di assunzioni al termine dei percorsi svolti.
Non è mancata la collaborazione, oltre alle cooperative sociali aderenti a Legacoop e a Confcooperative già nel partenariato, delle imprese profit, in particolare PMI, che hanno dato la propria disponibilità ad accogliere tirocinanti, contattate tramite la funzione di scouting svolta dagli enti gestori e dai Centri Risorse Territoriali (CRT) della sezione B di CSAPSA.
I CRT sono composti da persone svantaggiate, appositamente formate e assunte per la ricerca tramite contatto telefonico e tracciamento, in un apposito data base informatizzato, delle disponibilità aziendali per stage/tirocini con possibili sbocchi occupazionali, e hanno svolto un compito prezioso per consolidare il rapporto di collaborazione con il mondo del lavoro ordinario.
Alle aziende presso le quali si sono svolti i tirocini è stata offerta la possibilità di essere ricomprese nell’Albo Metropolitano delle Aziende Inclusive, come riconoscimento del merito distintivo dimostrato sul versante delle buone prassi di responsabilità sociale di impresa.
Gli elementi che hanno deputato a favore del buon andamento e degli esiti qualitativi dell’operazione sono riconducibili, in particolare, alla costruzione di percorsi personalizzati che hanno integrato per ogni persona l’accoglienza orientativa, la formazione professionale in piccoli gruppi di 4/5/6 partecipanti e il tirocinio individuale, con un forte supporto di accompagnamento da parte di personale specializzato e tramite la rete di sostegno degli enti del non profit metropolitano.
Tali condizioni di efficacia sono purtroppo venute meno nella successiva edizione relativa al biennio 2017-18, tuttora in corso, a seguito dell’entrata in vigore delle disposizioni contenute nella LR 14/2015. Essa fa riferimento a finalità del tutto condivisibili (programmazione a livello di distretto, integrazione dei servizi sociali, sanitari, del lavoro nella profilatura delle persone, personalizzazione dei percorsi, coinvolgimento del terzo settore, ecc…), ma ha richiesto un eccesso di procedure e adempimenti. Ne è scaturita una condizione non voluta di “burocratizzazione digitale” che logora le migliori energie profuse da tutti: responsabili e operatori delle istituzioni pubbliche coinvolte, dei servizi territoriali, degli enti gestori e delle imprese collaboranti. Gli stessi partenariati di gestione, formati nei vari distretti socio-sanitari, risultano inibiti e depotenziati nella loro capacità di azione.
Servirebbe una migliore comunicazione e una più stretta condivisione, tra equipe segnalanti e enti gestori, delle informazioni relative alle persone da accogliere e alla configurazione dei progetti personalizzati, oltre ad una maggiore valorizzazione della formazione professionale rispetto alla predominanza dei tirocini.
Questi ultimi strumenti di transizione rischiano di convertirsi da misure attive a meramente passive di politica del lavoro, se non sono adeguatamente preceduti da una buona conoscenza di ogni soggetto, se non vengono integrati con moduli propedeutici, o in alternanza di formazione e da azioni di consistente accompagnamento-sostegno nei contesti aziendali e, parallelamente, nei contesti di vita, nelle reti comunitarie e di prossimità.
Tra le proposte contenute in documenti redatti dal partenariato di Bologna, con la supervisione del Comitato Scientifico di AILeS, si sostiene infatti che: “… alla luce di precedenti esperienze di gestione di azioni inclusive, non ultima l’operazione del biennio 2015/16 sopra richiamata, per favorire una maggiore efficacia dei processi di apprendimento e di possibile esito assuntivo, siano più utili percorsi inclusivi integrati che prevedano, a seguito di almeno 2/meglio 4 ore di accoglienza

  • orientamento individuale, moduli di entità oraria significativa (40-60 ore in gruppi da 6) di formazione permanente, propedeutici, o in alternanza alla realizzazione di tirocini di 3 o 4 mesi, con sostegno nei contesti rafforzato (fino a 4 ore settimanali, rispetto alle 2 di solito previste nei Piani Integrati Territoriali)”.


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