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12. Cooperazione e welfare aziendale, una sfida tra opportunità e rischi

di Oreste De Pietro, Responsabile Area Welfare Confcooperative Bologna

Parlare di innovazione anche per la cooperazione sociale comporta inevitabilmente un richiamo al welfare aziendale, trattandosi di un settore in evoluzione che investe il sistema di welfare generale e che ha una ricaduta sulle strategie e il posizionamento delle cooperative nel tessuto economico e sociale del territorio. In un quadro che presenta opportunità interessanti e nuovi spazi di sviluppo ma anche rischi e criticità da gestire con un approccio propositivo e costruttivo, è necessario riflettere attentamente e confrontarsi su una nuova sfida che la cooperazione sociale, e in generale tutto il Terzo settore, deve raccogliere almeno per tre motivi. In primo luogo, il welfare aziendale, in una visione ampia e che non si limita a coglierne soltanto la connotazione contrattuale o la pura convenienza fiscale, si è generato all’interno di un processo di trasformazione complessiva del sistema di welfare del nostro Paese che ha determinato il passaggio da un welfare quasi esclusivamente statale a un modello comunitario, partecipato, generativo che coinvolge una pluralità di soggetti, procedure e strumenti. In tale contesto, la produzione e la fornitura di servizi alle persone si colloca ormai anche in azienda, nell’ambito di un rapporto di lavoro, con forme organizzate, gestite adeguatamente e attraverso l’utilizzo di moderne tecnologie. Le cooperative sociali, per la loro storia e per la mission di cui sono portatrici, tra i principali protagonisti del welfare e dei percorsi di innovazione sociale ed economica, non possono non essere presenti significativamente e in modo incisivo nel settore del welfare aziendale. In secondo luogo è da considerare l’espansione delle aree di intervento del welfare aziendale: a quelle originarie derivanti da fonti prevalentemente contrattuali si aggiungono nuove misure e iniziative concesse sulla base di obblighi negoziali (ad es. l’accordo inerente al premio di risultato) ma anche in modo unilaterale a favore dei lavoratori per soddisfare bisogni e richieste di servizi nei campi della prevenzione, della promozione della salute e delle cure specialistiche, nell’ambito dell’assistenza ai famigliari anziani e non autosufficienti, nel settore socio-educativo, dell’istruzione e della formazione universitaria, nei vari circuiti della cultura e del tempo libero. Da sottolineare è la categoria del welfare allargato alla comunità e di tutte le forme di coinvolgimento delle aziende nella crescita di un welfare territoriale e condiviso, in un’ottica di responsabilità sociale ad ampio raggio. L’impatto positivo di un Piano di welfare si esplica, pertanto, a vari livelli e riguarda diverse aree nelle quali la cooperazione sociale svolge da anni un ruolo fondamentale sia in termini di gestione ed erogazione sia in termini di progettazione e innovazione del sistema dei servizi. Da ciò discende un terzo motivo di interesse: l’opportunità di sviluppo imprenditoriale correlato ai mercati di beni e servizi che si possono generare in forme nuove e all’interno di spazi ancora in parte inesplorati di interlocuzione sul territorio. Il network dei servizi che l’azienda mette a disposizione, anche attraverso dispositivi tecnologici è un settore da considerare attentamente avviando percorsi di riorganizzazione interna e nuove strategie commerciali. Conseguentemente, l’incremento di attività in tali network genera a sua volta nuovi bacini occupazionali per diversi profili professionali e anche per persone socialmente svantaggiate. È il caso dei servizi cosiddetti save-time e in particolare del maggiordomo aziendale, che permettono di conciliare lavoro e vita privata alleggerendo lavoratori e lavoratrici da alcuni impegni quotidiani che assorbono tempo, risorse di ogni tipo e notevoli sforzi organizzativi.  Si tratta, quindi, di un quadro interessante e favorevole per la cooperazione sociale anche se non mancano criticità e rischi. Bisogna prima di tutto tenere presente che lo sviluppo del welfare aziendale è fortemente condizionato da una diffusa e radicata resistenza culturale nei confronti di forme innovative di retribuzione che possono integrare anche se non sostituire del tutto i corrispettivi in denaro. Tale resistenza dipende anche da un approccio al welfare aziendale che risente di una concezione dicotomica e in alcuni casi conflittuale della dimensione lavorativa rispetto alle altre dimensioni esistenziali della persona. Soltanto negli ultimi anni si registra un’affermazione dei temi del benessere e della salute legati non soltanto alle gratificazioni economiche ma alle dinamiche relazionali interne all’azienda in una prospettiva organica tra le varie componenti che rendono l’esperienza lavorativa più completa e arricchente. La strada per raggiungere una nuova visione del contesto aziendale e delle relazioni industriali è, però, ancora lunga e il modello comunitario di matrice olivettiana, attento alle varie dimensioni della persona e aperto al territorio, stenta ancora ad avere un pieno riconoscimento e la dovuta legittimazione. Un’altra criticità riguarda la scarsa consapevolezza delle cooperative sociali di essere già naturalmente e strutturalmente all’interno di un circuito di welfare aziendale, seppur non dichiarato e non formalizzato e soprattutto non comunicato adeguatamente.“Se questo è il welfare aziendale, allora noi già lo stiamo realizzando ma non sappiamo di farlo e soprattutto tra di noi non lo diciamo e non lo comunichiamo!”. La cooperazione (in particolare la cooperazione sociale) non è pienamente consapevole del ruolo che può svolgere nell’ambito di un fenomeno per vari motivi coerente con il modello di impresa cooperativa e la visione del lavoro cooperativo, in cui la mutualità e la prossimità sono elementi costitutivi e non semplicemente un optional.
Sono rilevanti, infine, alcuni punti di debolezza e i rischi connessi alle questioni di carattere economico: un piano di welfare aziendale che sia adeguato alle esigenze dei lavoratori, in linea con le strategie dell’impresa, aperto ai contesti esterni presuppone l’impiego di risorse umane ed economiche, l’utilizzo di dispositivi e di nuovi strumenti tecnologici, l’attivazione e il presidio di reti territoriali, la cui copertura economica spesso diventa impegnativa e difficile da sostenere.
Si tratta, infatti, non di semplici misure estemporanee e iniziative episodiche, ma di strategie imprenditoriali accompagnate da cambiamenti culturali e organizzativi. Su questo punto emergono le maggiori criticità: la cooperazione sociale rivela la sua dipendenza largamente diffusa (benché non del tutto generalizzata) dalla committenza pubblica e lascia inesplorati altri spazi di crescita imprenditoriale e altri bacini occupazionali nell’ambito del mercato privato di beni e servizi, in questo caso in una parte del sistema di welfare a trazione aziendale privata.
Al protagonismo di imprese e società fornitrici di servizi di welfare (ormai conosciute come Provider), alla creazione di reti e di enti di aggregazione, allo sviluppo di una filiera di produzione dettata dall’esigenza di adottare piani di welfare aziendale, non sempre in questi ultimi anni è corrisposta un’adeguata risposta proattiva e di sistema da parte della cooperazione sociale (ad eccezione di alcune esperienze significative e di interessanti progettualità avviate anche nel nostro territorio), con il rischio che il rapporto di subordinazione già sperimentato, soprattutto inizialmente, nei confronti dell’Ente pubblico si trasferisca e si riproduca anche nel rapporto con i Provider di welfare aziendale. Opportunità e criticità ci portano comunque a una convinzione: la cooperazione sociale non può sottrarsi a questa sfida ma nello stesso tempo devono essere chiare le condizioni di partenza e i punti di approdo. Bisogna essere in grado di esercitare un presidio culturale e valoriale coerente con la propria identità portando all’interno del welfare aziendale i tratti distintivi della cooperazione; occorre attrezzarsi adeguatamente in termini di competenze, figure professionali dedicate, dispositivi tecnologici; è necessario aprirsi a tutte le forme di contaminazione con il mondo delle imprese, dei provider, delle università, superando le resistenze (seppur legittime in alcuni casi) rispetto a settori economici considerati distanti e diversi rispetto al proprio modo di operare e di stare sul territorio; è fondamentale promuovere e consolidare aggregazioni e reti tra cooperative sociali, che possano far fronte agli impegni di natura economica che il welfare aziendale richiede; favorire la più ampia partecipazione degli attori territoriali (imprese, sindacati, enti locali…) andando oltre ogni tentazione di autoreferenzialità e affidando ai Soggetti pubblici un ruolo di regia e di raccordo. Intervenendo per raggiungere questi obiettivi e integrandoli in un programma di azioni comuni, la cooperazione sociale potrà esprimere al massimo le proprie potenzialità, portando un contributo radicato nei valori della partecipazione, della coesione interna e della responsabilizzazione che connotano i legami cooperativi, i rapporti di fidelizzazione e il senso di appartenenza, diventando protagonista di un sistema di welfare aziendale per individuarne la direzione più coerente con la propria identità.
Il contributo riprende e approfondisce l’intervento al Workshop Il welfare aziendale e il terzo settore: criticità e opportunità, svoltosi a Bologna il 6 settembre 2018, promosso e organizzato da Day S.p.A.–Gruppo Up, nell’ambito dell’evento FARETE.



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