13. Rilanciare la cooperazione sociale di inserimento lavorativo
- Autore: A cura di CNCA
A cura di CNCA – Consorzio Nazionale Idee in Rete – Consorzio Abele Lavoro Sintesi del documento
Le sfide del lavoro
Il tema del lavoro pone oggi delle sfide impegnative e la cooperazione sociale di inserimento lavorativo può certamente essere, insieme ad altri, tra i soggetti che hanno pieno titolo ad essere tra i protagonisti di queste sfide, forte di una capacità comprovata nei decenni di mettere insieme impresa e integrazione, sostenibilità e attenzione alla persona, anche quando ciò implica l’adozione di strategie e strumenti diversi da quelli noti e consolidati.
La cooperazione sociale di inserimento lavorativo ha attraversato e superato la crisi economica con 73 mila lavoratori, in crescita del 25% tra il 2008 e il 2017, di cui 25 mila lavoratori svantaggiati.
Dietro questi risultati positivi, vi sono fenomeni diversi. In alcuni casi si tratta di imprese eccellenti, che uniscono dinamismo imprenditoriale, innovazione, cura dei percorsi di inserimento e protagonismo nei territori in cui operano; in altri di imprese che – anche se che continuano a crescere da un punto di vista economico – incontrano fatiche crescenti, sia sul fronte della sostenibilità, sia del senso del proprio lavoro. E, ancora, ci sono casi in cui la resilienza delle cooperative sociali – la capacità cioè di resistere ad una situazione economica avversa – ha come prezzo sforzi non sostenibili nel medio periodo per i dirigenti e i lavoratori, in termini di impegno profuso e di limitazione del proprio reddito.
Le cooperative sono infatti messe a dura prova da un mercato sempre più competitivo e da enti locali alla ricerca di risparmi ad ogni costo, incapaci di cogliere come l’inserimento lavorativo rappresenti un interesse pubblico che i soggetti pubblici dovrebbero salvaguardare. Rischiano di trovarsi di fronte a un bivio: soccombere alla concorrenza o accettare mediazioni sempre più forti rispetto alla qualità degli inserimenti lavorativi, indirizzandosi quindi a “svantaggiati poco svantaggiati” e tralasciando valenza formativa e di integrazione sociale, riducendo cioè al minimo aspetti diversi dal mero svolgimento di una prestazione lavorativa. Come sarebbe possibile, d’altra parte, svolgere in modo sistematico e stabile due lavori – quello di mercato e quello sociale – quando solo il primo è remunerato?
Qual è il problema ?
Le problematicità sopra richiamate hanno origine in molti fattori:
- la ricerca esasperata del risparmio da parte delle pubbliche amministrazioni e la chiusura di una stagione in cui i convenzionamenti con la cooperazione sociale erano stati un asse portante delle politiche di integrazione delle persone fragili;
- la poca consapevolezza di una parte del mondo cooperativo, pronto a rincorrere ogni opportunità imprenditoriale senza interrogarsi sulla coerenza con la propria mission;
- la penetrazione della cultura aziendalistica centrata unicamente su criteri di efficienza e crescita;
- una visione generale della cooperazione deteriorata dagli scandali e dal modo in cui il mondo della comunicazione li ha raccontati.
Quali che ne siano le cause, assistiamo ad un paradosso: da una parte la Riforma del Terzo settore riconosce l’interesse generale dell’inserimento lavorativo e un ruolo per gli enti di Terzo settore analogo a quello delle pubbliche amministrazioni nel realizzare l’interesse pubblico e dall’altra spesso pare venuta meno l’idea condivisa che la cooperazione sociale di inserimento lavorativo incarni un interesse generale, “pubblico” nel senso più autentico.
Tre proposte
In coerenza con questi ragionamenti, si propone di focalizzarsi su tre punti:
- Investire in comunità, essere e fare territorio. Le cooperative devono essere consapevoli che investire nei rapporti con la propria comunità di riferimento è strategico e irrinunciabile quanto investire in beni strumentali per la propria attività. Ciascuno può farlo in modo diverso, seguendo le proprie vocazioni ma non può svolgere un’attività produttiva senza investire in relazione con la comunità: il legame con la comunità e i cittadini è necessario per rifondare la legittimazione culturale e la credibilità dell’esperienza della cooperazione di tipo B. Una diversa immagine delle cooperative sociali è strategica anche per rilanciare gli strumenti consolidati come il convenzionamento con gli enti locali non basato su logiche di spartizione tra soggetti del mondo produttivo definite per via politica, ma esito di una rinnovata presenza delle nostre cooperative nella comunità locale.
- La cooperazione sociale come possibilità di integrazione formativa. L’inserimento lavorativo non è solo dare occupazione, ma deve originare esiti apprezzabili dal punto di vista delle capacità professionali e dell’integrazione sociale, grazie a un modello peculiare, in cui la formazione non è antecedente al lavoro ma lo affianca. Ma questa funzione, oltre a essere resa in modo professionale, deve anche essere adeguatamente retribuita, sul modello di quanto avviene in altri paesi europei e, in alcuni contesti regionali, anche nel nostro Paese. Si tratta di definire un modello che integra formazione, lavoro e impresa e in cui all’attività formativa sono dedicati tempi, spazi e personale. Le competenze acquisite dalle persone inserite attraverso questi percorsi devono essere oggetto di una certificazione da parte di un soggetto terzo – il sistema scolastico o un’agenzia formativa –a garanzia della serietà del lavoro svolto e perché le persone possano comunque vedere riconosciuti i progressi fatti. Le cooperative sociali dovranno quindi sviluppare una relazione di collaborazione stabile con questi soggetti.
- Cooperazione sociale e lavori utili di comunità. Le cooperative sociali devono essere capaci di integrare in un contesto produttivo lavoratori con debolezze e fragilità. Oggi la nostra società ha un bisogno sempre maggiore di questa funzione. Ormai tutte le misure pubbliche di aiuto alle persone, dal contrasto alla povertà ai nuovi ammortizzatori sociali, richiedono al destinatario di impegnarsi in un percorso che comprende anche attività a servizio della comunità. Questo percorso assume una pluralità di valenze: rafforzamento delle reti di relazione, coesione della comunità intorno ai beneficiari, restituzione, valorizzazione delle capacità residue, e soprattutto, la possibilità di dare un senso alla quotidianità delle persone. Anche la questione dell’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale potrebbe cambiare immagine pubblica se collegata a questi strumenti, così come la situazione dei tantissimi giovani che non studiano e non lavorano che potrebbe essere affrontata con periodi di servizio alla comunità, come ben testimoniato dalle esperienze di servizio civile nazionale. Queste attività potrebbero essere realizzate con il coinvolgimento della comunità locale e di imprese con adeguate competenze tecniche e una salda vocazione sociale, che organizzerebbero l’opera non solo dei propri lavoratori, ma anche delle persone che prestano servizio alla propria comunità nell’ambito dei percorsi sopra descritti mentre se tutto ciò venisse gestito al di fuori di logiche di impresa, si rischierebbe di riprodurre esperienze deleterie, in cui le persone inserite appaiono come “parcheggiate” in compiti improduttivi.
Verso una nuova generazione di cooperative di inserimento lavorativo
Sicuramente le cooperative di inserimento lavorativo, per storia e vocazione, si candidano ad essere tra i soggetti in grado di raccogliere il senso di queste proposte. Probabilmente si tratterà di cooperative di inserimento lavorativo di nuova generazione, che affiancheranno un’attività economica prevalente di produzione di beni e servizi con una quota minoritaria, ma non residuale, di risorse derivanti dal lavorare sulle proposte precedenti, perché a fronte delle azioni formative e di integrazione – che non devono essere occasionali ed episodiche, ma attestabili in sede di carta dei servizi e oggetto di riconoscimento o di accreditamento – deve avere luogo un’adeguata corresponsione di risorse pubbliche.
Ancora, la cooperazione sociale di inserimento lavorativo che si va così a ridisegnare è un’impresa di relazione: con la comunità cui appartiene, con le istituzioni e con soggetti in grado di mettere in campo competenze diverse, da quelle tecniche e quelle formative, a quelle imprenditoriali.
Non è un’impresa che compete isolata, ma un’impresa che crea legami e si sviluppa all’interno di un sistema collaborativo di soggetti che hanno a cuore uno sviluppo sostenibile e solidale della propria comunità.
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