I libri nella mia vita hanno rappresentato un’àncora di salvezza. Le parole scritte e stampate sulla carta hanno consentito che da bambina non venissi inghiottita nel “mondo delle cose senza nome” (1), permettendomi di sviluppare il linguaggio. E, appreso il “gioco delle parole”, di esplorare infiniti e diversi mondi possibili.
Attraverso i libri ho viaggiato in lungo e in largo, dapprima con la fantasia e poi con l’intelligenza, attraverso molti diversi paesi, inventati e veri, incontrando esperienze e saperi, che le loro pagine racchiudono come tesori in uno scrigno.
Sono nata 44 anni fa, in una famiglia italo-tedesca: papà ingegnere e mamma casalinga che aveva studiato pedagogia speciale, una sorella e un fratello gemelli di tre anni più piccoli, preziosi compagni di giochi e di vita; una grande famiglia allargata sia in Italia che in Germania e tante amicizie.
Ero una bambina allegra e socievole. Non parlavo, ma ero molto comunicativa, in ascolto, capivo e mi facevo capire, al di là delle parole. Ho trovato due fotografie di quegli anni: nella prima sono seduta sul vasino con una copertina sulle gambe, intenta a sfogliare una grande rivista illustrata e nella seconda immagine, accomodata sul divano con papà, accanto all’albero di Natale, ascolto da lui una storia seguendola su un libro che stiamo sfogliando insieme. È evidente che il mio legame con i libri si sia sviluppato fin da piccolissima, grazie a genitori amanti dei libri e della lettura.
Proprio da papà ricordo di aver ricevuto in dono alcuni dei libri “pietre miliari” nel mio percorso di crescita, tra cui: Il Piccolo Principe di Saint Exupéry, e La famosa invasione degli orsi in Sicilia di Dino Buzzati con essenziali illustrazioni d’autore, Un sacchetto di biglie di Joseph Joffo e Poesie del fiume Wang di Wang Wei P’ei Ti, un piccolo libriccino di liriche cinesi con gli ideogrammi a fronte.
La diagnosi della sordità grave-profonda, con cui convivo da quando sono nata, avvenne quando avevo quasi 4 anni. Ho indossato allora i miei primi apparecchi retroauricolari costruiti in serie, con i quali ho potuto accedere al mondo dei suoni e delle voci, ma erano piuttosto grossolani e la loro discriminazione non era immediata – come ho potuto ricostruire in seguito, indossati a trent’anni apparecchi endoauricolari personalizzati, grazie ai quali ho iniziato a percepire la naturalezza dei suoni e mi si è spalancato il paesaggio sonoro.
Dai quattro ai sette anni ho fatto un percorso riabilitativo secondo le indicazioni della logopedista, volando sulle ali della fantasia dei miei genitori, grazie all’originale percorso compiuto per imparare a parlare, con lo strumento dei “cartoncini” realizzati da mamma e papà (2). È così che si è sviluppato il mio amore per la parola scritta, vera e propria àncora di salvezza. Attraverso la lettura delle parole abbinate alle immagini che le rappresentavano (o forse, al contrario, sono le parole a rappresentare le immagini?), potevo apprendere vocaboli che attraverso il solo canale uditivo non mi giungevano integri, mentre il vederli scritti in chiare lettere mi consentiva di conoscere la loro forma esatta.
Sono diventata un’appassionata lettrice. Ricordo che da bambina mi capitava di svegliarmi nel buio e nel silenzio della notte, per accendere una lampadina e mettermi a leggere il libro che avevo infilato la sera prima in una nicchia del muro dietro il mio letto. Le prime letture importanti furono le Fiabe, non solo della tradizione: ricordo il grande divertimento che mi procuravano le Favole al telefono di Gianni Rodari.
Non appena inciampavo in un termine sconosciuto, ecco che il dizionario mi veniva in soccorso facendomi apprendere la radice stessa delle parole e le loro molteplici forme di utilizzo. Un vocabolario, che ho avuto tra le mani fin da piccola, è stato il meraviglioso Primo dizionario, nato dal genio pittorico e narrativo di Richard Scarry, in cui ogni parola è una storia in immagini e parole.
La carta scritta e stampata (e anche la lavagna) ha costituito poi un autentico sostegno a scuola e, arrivata infine al momento di dover decidere che percorso di studi universitari abbracciare, la scelta cadde su Architettura, corso di laurea in cui immagini e parole sono strettamente correlate… (focalizzo ora).
Le immagini hanno infatti sempre costituito per me una parte essenziale dei libri. Tra i miei primi libri – che tuttora custodisco gelosamente – un posto di rilievo l’assumevano i “libri senza parole”. Autentici capolavori variopinti o in bianco e nero li trovò la mamma in Germania facendo le sue ricerche per librerie. I grandi libri di sole immagini dell’illustratore Ali Mitgutsch con meravigliose scene di ambienti sia di città che di campagna, ricchissime di particolari, hanno contribuito a stimolare la mia naturale inclinazione a osservare dettagli della realtà circostante. Innumerevoli personaggi hanno animato “storie per immagini” – senza parole o con poche essenziali frasi, quasi didascalie come quelli dei bellissimi racconti di Attilio e Karen – che mi hanno aiutata a comprendere i nessi spazio-temporali-causali, lasciando al contempo aperti molti possibili sviluppi delle vicende, anche surreali.
Credo che la stessa modalità di percezione, dello snodarsi di una vicenda attraverso le sole immagini, una volta cresciuta, mi abbia consentito di apprezzare l’arte cinematografica, non solo il film muto come quello di Charlie Chaplin, Stanlio e Ollio, ecc. ma anche film di cui non riuscivo a cogliere alcuna parola (fino a che non ho potuto usufruire dei sottotitoli… ecco una forma moderna di “parola scritta”). Alcuni telefilm li ho goduti dopo aver letto i libri da cui erano tratti, come accadde con le fortunate serie televisive di Emil e Pippicalzelunghe, personaggi nati dalla penna della grande Astrid Lindgren. Ricordo ancora l’immensa emozione che provai nel vedere al cinema il film Dersu Uzala, il piccolo uomo delle grandi pianure dopo averne letto il libro.
Per me i libri e le parole scritte (godute pure attraverso la corrispondenza epistolare) sono stati – e lo sono tuttora – vitali, davvero essenziali nel percorso verso l’autonomia, formativi per il mio carattere, e profondamente arricchenti non solo sul piano dell’intelligenza, ma anche su quello dello spirito.
Incontrare e conoscere altrui esperienze, di chi come me ha dovuto fare i conti con un grave deficit uditivo, mi ha confermato l’importanza che i libri possono assumere per le persone con sordità dalla nascita. Ho raccolto le riflessioni di alcuni compagni di strada dell’Arcipelago Sordità (www.arcipelagosordita.it). Solo una persona, tra le nove che hanno risposto al mio appello, mi ha rivelato di non essersi mai avvicinata realmente al mondo dei libri, sviluppando altresì diverse modalità di comunicazione, praticando un mestiere nel campo delle immagini e della fotografia.
Quasi sempre (almeno nelle passate generazioni) chi doveva fare i conti con limitazioni uditive imparava a leggere durante il percorso di (ri)abilitazione al linguaggio prima dell’ingresso a scuola, fin dai 4-5 anni d’età, come raccontano diversi testimoni. Per la strada della lettura, che non presenta ostacoli se il senso della vista è integro, si può sviluppare la competenza linguistica, anche totalmente immersi nel mondo del silenzio.
I libri letti nel silenzio sono linfa e aria vitali
Giulia Intini, brillante signora di 85 anni, afferma: “I libri soddisfano la mia voglia di sapere molte cose”, oggi come ai tempi della scuola, quando studiò Scenografia ma più volentieri avrebbe studiato Architettura. Ha imparato ad amare i libri attraverso la storia dell’arte, cimentandosi poi con ogni genere di lettura. Monica Metalla, tecnico in un laboratorio di Genetica molecolare, vive nel mondo del silenzio, comunica con grandissima abilità sia con i segni (la Lingua dei segni è per lei lingua madre), che con le parole. Monica ama molto leggere: “I libri per me sono linfa! Ne ho sempre uno con me nella borsa. Scelgo il genere a seconda di cosa mi consiglia il mio cuore”. Consuelo Agnesi, architetto (del sociale, si autodefinisce) racconta: “Senza libri non vivo, senza libri non respiro… Ne ho sempre uno in borsa e se avessi tanti soldi ne comprerei uno al giorno!” e pensando al suo percorso di apprendimento dice: “È leggendo che ho imparato a parlare bene”.
I libri contribuiscono all’abbattimento di barriere della comunicazione e della solitudine
Paolo Durando, insegnante di lettere in un liceo e appassionato di scrittura creativa, che ha al suo attivo diversi riconoscimenti in premi letterari, spiega: “Penso che i miei coetanei abbiano ricevuto molte informazioni, senza doverle cercare, semplicemente sentendo la radio, la televisione o la gente parlare. I libri rappresentano per me la possibilità di non essere mai solo e di mettermi in contatto con il pensato e il vissuto di persone anche lontane nello spazio e, soprattutto, nel tempo”.
Lara Maggi, brillante studentessa di Liceo classico, percepisce anche lei i libri come fossero persone a cui prestare ascolto: “I libri per me sono come degli amici che mi raccontano storie di vario genere, persone che dicono il loro parere, che mostrano quello che hanno appreso nella vita”. Lara tra le storie predilige quelle fantastiche, affermando che: “Aprono la mente verso l’immaginazione”.
I libri rendono le persone integrate, informate e libere
Emiliano Mereghetti, ricercatore di storia, lingua e cultura sorda, profondo conoscitore e insegnante di Lingua dei segni che, lavorando in banca, riesce a guadagnarsi ciò che gli consente di vivere e acquistare i libri, afferma: “I libri per me rappresentano la libertà di comunicazione, che nel nostro caso è importante, è un modo per essere integrati. La cultura è importante per ogni individuo, l’ignoranza fa paura”. Federica Pea, psicologa specializzata sulla sordità, narra come i libri l’abbiano segnata fin da bambina: “In particolare le fiabe, in un’epoca in cui mi sentivo sola e isolata dal mondo. I libri erano il mio rifugio per sognare, per viaggiare a occhi aperti, per apprendere cose nuove”. Anna Lingiardi, laureata in Farmacia e specializzata in Master di Scienza&Tecnologia sul controllo qualità degli alimenti, è perentoria: “I libri rappresentano la possibilità più elevata che ha l’uomo per essere veramente libero”. E prosegue: “Non c’è limite alla creatività linguistica e pure io con la mia sordità posso averla scegliendo le parole con cura, in base al significante e al significato, e alla persona a cui le esprimo”.
Ho domandato infine ai miei compagni di strada dell’Arcipelago Sordità quali aggettivi userebbero per definire i libri; hanno snocciolato così questo elenco di bellissimi attributi. I libri possono essere: fragranti, pazienti, vissuti, avvincenti, necessari (2 volte), insostituibili, informativi, interessanti (2 volte), affascinanti, acculturanti, intensi, liberi, immortali, misteriosi, intriganti, magici, calmanti, esplorativi, curiosi.
Alla luce delle riflessioni sviluppate sin qui, attraverso i libri con le loro immagini e parole scritte, che peraltro oggi possono essere fissate su una pluralità di supporti – da quelli di tipo cartaceo a quelli informatici – nelle persone con sordità possono svilupparsi:
– il linguaggio verbale, sia sul piano del vocabolario che della sintassi;
– l’abilità di cogliere nell’ambiente dettagli anche secondari attraverso il canale visivo;
– la propensione a immaginare relazioni e nessi tra fatti e fra persone;
– l’apertura verso mondi possibili, oltre il dato e lo scontato.
Ai bambini con sordità credo che non possa esser fatto dono più grande di poter accedere a una montagna (!) di libri scelti con cura, volumi che racchiudano immagini che siano veramente belle e parole che corrispondano alla loro sete di apprendere, conoscere ed esplorare se stessi, gli altri e il mondo.
Note
(1) Uso qui la bella espressione che dà titolo al romanzo autobiografico di Daniela Rossi, che con grande pathos narra la sua storia con il figlio Andrea, nato con una sordità profonda. Secondo i medici gli sarebbe stata preclusa ogni possibilità di apprendere il linguaggio per “dare nome” alle cose del mondo se i genitori non l’avessero sottoposto a un intervento di impianto cocleare. Scenario smentito dalla realtà: oggi Andrea è un brillante studente liceale e comunica, parlando con spontaneità, con tutti. Cfr. D. Rossi, Il mondo delle cose senza nome, Roma, Fazi Editore, 2004).
(2) Un racconto più esteso di cosa abbiano rappresentato per me i “cartoncini” e una loro descrizione si trovano in Appendice al libro Il pianista che ascolta con le dita di Paola Magi (Milano, Bologna, Edizioni Archivio Dedalus, Accaparlantedizioni, 2010).
Continua a leggere:
- Leggere per vivere
- 1. Introduzione
- 2. Ci riguarda, ci appartiene. Leggere in luoghi sensibili
- 3. Le storie curano l’anima
- 4. La differenza non è una sottrazione: disabilità e libri in viaggio
- 5. Libri: linfa e aria per crescere liberi (Pagina attuale)
- 6. L’universo di carta dei bambini sordi
- 7. Alcuni editori raccontano
- 8. Esperienze tattili nella scuola e nell’editoria
- 9. A spasso con le dita
- 10. Libri tattili: belli e utili anche per chi vede
- 11. Testi disadattati e accesso alla lingua scritta
- 12. Pagine amichevoli per “lettori riluttanti”
- 13. Rallentare la pagina per velocizzare la lettura
- 14. I libri senza parole
- 15. I bambini con sordità e la lettura: analisi di un problema
- 16. I libri “su misura”
- 17. Il Centro Ausili Tecnologici e l’accessibilità al libro
- 18. Trovare nelle biblioteche libri per tutti
- 19. Il progetto “Leggi come vuoi e dove vuoi”
- 20. Altri progetti e servizi